Investimenti: cautela più che mai d’obbligo in questa fase

Ieri le vendite al dettaglio di luglio della Germania sono risultate più basse delle aspettative (-0,8% contro +0,3% stimato), mentre il tasso di disoccupazione di agosto è rimasto stabile al 5,7% e in linea con le stime.

L’inflazione dei diversi Paesi europei sta però rialzando la testa: dopo la Spagna, ieri anche il dato francese di agosto ha fatto segnare un rialzo al 4,8% in ragione d’anno (4,6% stimato e 4,3% in luglio). Prezzi in crescita anche in Italia: il dato di agosto è risultato pari al +0,4% (+0,1% le attese) contro zero di luglio, che porta l’inflazione al 5,5% in ragione d’anno (5,9% a luglio). Le variazioni dei singoli Paesi non potevano non portare al rialzo anche l’inflazione Europea: ad agosto i prezzi hanno fatto segnare un +5,3% (uguale a luglio), mentre le aspettative vedevano una flessione al +5,1%. L’aumento è stato trainato soprattutto dai prezzi del cibo, alcol e tabacco che sono cresciuti del 9,8%. L’inflazione core è invece diminuita al 5,3% dal 5,5% di luglio, ma rimano più che doppia rispetto al target del 2%.

Riteniamo che le dinamiche inflattive rafforzino la convinzione che il prossimo 14 settembre la BCE alzi i tassi di 25 punti base. La Lagarde ha più volte sostenuto che la decisione sui tassi di interesse sarebbe dipesa dai dati in arrivo. E questi non si può certo dire che depongano per uno stop agli aumenti. La BCE è chiamata in questa fase a destreggiarsi tra la lotta all’inflazione con tassi più alti e l’impatto del credito più costoso per consumatori e imprese. E’ innegabile che inflazione sia scesa dopo aver toccato il picco nell’ottobre 2022 al 10,6%, ma la diminuzione non è sufficiente e inoltre la flessione è stata fortemente rallentata negli ultimi mesi e molti economisti sostengono, a ragione, che l’ultimo miglio verso il 2% potrebbe essere il più difficile. Ci sembra quindi probabile un aumento a settembre a poi uno stop fino a fine anno. Sempre che i dati lo consentano.

L’economia dell’Eurozona è rimasta stagnante con una crescita pari a zero all’inizio del 2023 e ha registrato una modesta ripresa nel secondo trimestre, crescendo dello 0,3% rispetto al primo quarter. Ad agosto, l’indicatore del sentiment economico della Commissione Europea, che combina le misure della fiducia delle imprese e dei consumatori, è sceso al livello più basso degli ultimi 10 anni, mentre i sondaggi tra i responsabili degli acquisti indicano che l’attività sta rallentando. Una delle principali debolezze dell’Eurozona è stata la sua più grande economia, la Germania, che secondo le previsioni del FMI sarà l’unica grande economia a contrarsi quest’anno, con un calo dello 0,3%.

Una delle domande che in questo momento si fanno gli investitori e che cosa potrebbe segnalare l’ultimo pullback del mercato? Potrebbe essere solo una salutare pausa, o è l’inizio di una rotta più profonda verso il basso? Prima che gli investitori dichiarino un punto di flessione nei mercati, potrebbero esserci alcune importanti sfumature da considerare. Innanzitutto, i rendimenti obbligazionari sono ancora in fase di picco, nonostante siano scesi dai massimi. Dopo più di un anno di inasprimento aggressivo della politica monetaria, l’inflazione è significativamente diminuita, visto che l’indice dei prezzi al consumo è sceso notevolmente dal picco del 9,1% dello scorso giugno al 3,2%. Pur essendo ancora elevato rispetto all’obiettivo medio del 2% della FED, l’aumento dei prezzi al consumo è avvenuto più lentamente del previsto negli ultimi mesi e suggerisce ad alcuni investitori che il problema dell’inflazione potrebbe essere ormai alle nostre spalle.

I breakeven dell’inflazione, o misure derivate dal mercato dell’inflazione futura prevista, riflettono queste prospettive più rosee, segnalando fiducia nella capacità della FED di ridurre la dinamica dei prezzi. I mercati dei futures sui tassi hanno scontato la fine del ciclo di rialzi dei tassi e persino i tagli dei tassi il prossimo anno, il che implicherebbe una pressione al ribasso sui rendimenti da qui in avanti. La recente spinta al rialzo dei rendimenti sfida quindi queste aspettative, ma non è possibile dimenticare che il rischio di tasso continua ad essere bilaterale.

È ampiamente accettato che la politica monetaria agisca con un ritardo lungo e variabile. Dato che la FED ha iniziato ad inasprire la politica monetaria solo poco più di un anno fa, potrebbe significare che l’effetto dei 525 pb totali di rialzo dei tassi potrebbe ancora richiedere del tempo per filtrare nell’economia e nei mercati. In effetti, un’impennata dei rendimenti reali, o dei rendimenti dei titoli del Tesoro corretti per l’inflazione, ha svolto un ruolo maggiore nell’ultimo rialzo dei rendimenti obbligazionari nominali rispetto all’inflazione, poiché i breakeven si sono spostati marginalmente al ribasso nel corso del mese.

Il rendimento dei titoli del Tesoro a 10 anni protetti dall’inflazione (TIPS) è salito al livello più alto degli ultimi 14 anni. Le ragioni del breakout dei rendimenti reali potrebbero essere il deterioramento del quadro della salute fiscale degli USA e/o la mossa della Banca del Giappone di allentare il controllo sulla curva dei rendimenti. Non ci sentiamo nemmeno di escludere che l’aumento dei rendimenti reali rifletta l’inasprimento della politica monetaria e l’adattamento ai cambiamenti strutturali in corso (da tassi reali negativi a positivi).

La tendenza al ribasso dell’inflazione sia attesa che realizzata rimane comunque un segnale incoraggiante, e gli investitori continuano ad aspettarsi che la prossima fase importante del ciclo vedrà tassi più bassi di quelli attuali. Ma il contesto è in fase di evoluzione e i rischi di un aumento della volatilità dei tassi potrebbero persistere.

In secondo luogo, il calo delle azioni USA potrebbe essere dovuto al fatto che il mercato ha frenato le valutazioni eccessive dopo che l’espansione dei multipli ha guidato un rally del 20% nei primi sette mesi dell’anno. Il rapporto prezzo/utili a termine a 12 mesi dell’S&P 500 è salito da 16,8x della fine del 2022 a 19,7x alla fine di luglio, attestandosi ben al di sopra della sua media ventennale pari a 15,7x. Rally che ha preoccupato non poco gli investitori, vista la disconnessione delle valutazioni dalla crescita degli utili.

Il rialzo dei rendimenti reali e le potenziali implicazioni di un costo del capitale più elevato, ha portato gli investitori a rivedere le valutazioni: il multiplo medio forward è ora a 18,8x. Eventuali ulteriori movimenti al ribasso delle valutazioni potrebbero dipendere dall’effetto dei maggiori oneri finanziari sui profitti aziendali.

Per ora, gli spread creditizi ristretti non sembrano scontare ancora alcuna sfida importante per la salute delle aziende e per l’economia futura. Il percorso da seguire per le azioni ritorna quindi alla domanda inziale: la revisione dei prezzi di agosto è una breve tregua dal trend rialzista o l’inizio di un trend ribassista più lungo. La risposta dipende dalla crescita attesa degli utili aziendali. Se gli investitori ritengono che la maggior parte del dolore sugli utili sia già stato avvertito, il mercato alla fine dovrebbe ritornare alla sua inclinazione al rialzo. Ma se l’incertezza sugli utili societari dovesse farsi più importante e l’impennata del tasso di disoccupazione e le difficoltà economiche della Cina esercitare pressioni sulle prospettive economiche, il rallentamento di agosto potrebbe tradursi in ulteriore pressione e volatilità azionaria.

Occorre comunque ricordare che questo periodo di stagionalità è storicamente debole per avere una visione più dettagliata della direzione del mercato. La storia ci dice che i mesi da agosto ad ottobre tendono ad essere mesi difficili per i rendimenti azionari, soprattutto durante gli anni pre-elezioni presidenziali. Il calo delle azioni di questo agosto non si è rivelato diverso. Anche se i titoli azionari hanno sofferto, le perdite non sono state significativamente elevate tanto da cambiare completamente le prospettive e gli investitori restano consapevoli del periodo stagionale impegnativo.

Certo il sentiment rialzista è leggermente diminuito nell’ultimo sondaggio dell’American Association of Individual Investor Sentiment, ma il differenziale tra Tori e Orsi non si è spostato a livelli insolitamente bassi e i timori di un pessimismo diffuso non si sono materializzati. E anche se la volatilità dei tassi è aumentata, la volatilità azionaria rimane più contenuta. L’indice di volatilità (VIX), un indicatore della volatilità del mercato azionario, ha registrato un picco in seguito alle vendite azionarie delle ultime settimane di agosto, ma ha raggiunto il picco solo a 17,9, che è ben al di sotto della sua media storica a lungo termine di 19,6 e un livello relativamente tranquillo rispetto a quelli da gennaio a maggio.

Fino a quando la visibilità sugli utili dele aziende non migliorerà, le indiscrezioni a breve termine sulla debolezza del mercato potrebbero mascherare alcune di queste tendenze di fondo.

In questo contesto, resta prudente mantenere un atteggiamento misurato rispetto al rischio nei portafogli. Considerate le preoccupazioni sulle prospettive dell’economia, della politica monetaria e degli utili societari, preferiamo mantenere un posizionamento neutrale sia sulle azioni che sulle obbligazioni che ci offra la flessibilità di appoggiarci al ciclo o di ridurre il rischio.

Riteniamo che in questa fase sia conveniente preparare la nostra lista della spesa per quando avremo maggiore convinzione sulla sostenibilità dell’andamento del mercato. La debolezza a breve termine del mercato può offrire opportunità agli investitori a lungo termine per ribilanciare i portafogli. E mentre i rendimenti in aumento tendono ad attirare un’attenzione più negativa, la revisione del prezzo del mercato obbligazionario offre ora agli investitori i rendimenti nominali e reali più interessanti da oltre un decennio. Preferiamo quindi una posizione con una duration leggermente più lunga di qualche mese fa, che ci consenta di trarre vantaggio da rendimenti più elevati ma che ci lascia un po’ di spazio per muoverci opportunisticamente se i tassi dovessero aumentare ancora.

A cura di Antonio Tognoli, responsabile macro analisi e comunicazione di Cfo Sim

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