Le società umane tradizionali hanno spesso elaborato dei codici di comportamento da osservare dopo un lutto o dopo un evento fausto. La ritualizzazione delle emozioni è volta a conciliare la loro elaborazione, che richiede comunque del tempo, con la necessità di fare riprendere il flusso normale della vita.
Quanti colpi di cannone sparare per l’insediamento di un nuovo monarca? Quanti giorni di lutto osservare dopo la perdita di una persona cara? Le procedure sono talvolta minuziose e hanno un senso preciso. In un lutto, ad esempio, alcuni rituali sono suddivisi in molteplici fasi. Si cerca inizialmente di non lasciare sole le persone più vicine al defunto. Poi, gradualmente, le si accompagna a riaprirsi verso il mondo.
La modernità ha deregolato le emozioni e la loro elaborazione. I mercati finanziari, come parte della modernità, non hanno regole particolari su come comportarsi in seguito a un evento bello o brutto. Tanto meno hanno regole su quanto a lungo scontarlo.
Di fronte alla scoperta che l’inflazione negli ultimi mesi ha rialzato la testa e che l’economia americana continua a mostrare segni di surriscaldamento i mercati, dopo alcune settimane di resistenza, hanno iniziato a prendere atto della realtà. Il ripiegamento non è stato finora particolarmente rilevante sull’azionario, dove la discesa dai massimi è inferiore al 5 per cento. È stato però più sensibile sull’obbligazionario. Il Treasury decennale, che aveva toccato il 5% in ottobre e era poi sceso fino al 3,79 alla fine di dicembre, ha perso per strada due terzi del suo recupero e rende oggi più del 4,6 per cento.
Lo shock dell’obbligazionario, già notevole per la sua portata, lo è ancora di più se rapportato alle attese di fine 2023. Come ha ricordato nei giorni scorsi Jim Bianco, la survey di dicembre di Bank of America aveva riportato un consenso quasi unanime (il più alto mai registrato nei vent’anni in cui è stata effettuata la rilevazione) su un 2024 positivo per l’obbligazionario. Con le banche centrali che anticipavano due anni di ribassi dei tassi sembrava assolutamente ovvio essere positivi. E invece il 15 aprile l’indice globale Bloomberg sul ritorno obbligazionario totale (corsi più cedole) mostrava una perdita da inizio anno del 4.25 per cento, il dato peggiore nella storia dopo quelli del 1865 e del 2020.
A preoccupare una parte consistente del mercato è stato anche l’atteggiamento della Fed, che è parsa a lungo minimizzare il rischio di ripresa dell’inflazione. Questo atteggiamento rilassato, che nel 2021 non aveva disturbato troppo il mercato obbligazionario e aveva molto incoraggiato l’azionario, è apparso invece preoccupante in questa fase di pieno impiego e di prolungati disavanzi fiscali. Proprio l’esperienza del 2021 ha insegnato ai mercati a prendere con cautela le rassicurazioni ufficiali e ha portato molti a parlare di una Fed dietro la curva.
Powell, che è un bravo navigatore tattico, ha capito che la narrazione rassicurante stava cominciando a fare più male che bene ai bond e ha corretto il tiro, dichiarandosi pronto a non toccare i tassi per tutto il tempo che sarà necessario. I bond hanno apprezzato, ma il tatticismo di Powell, la sua propensione ai pivot e la prevalenza delle colombe all’interno del Fomc in un anno elettorale, inducono i mercati a mantenere comunque alta la guardia e a restare molto cauti.
Ora si pone il problema della durata del lutto. Per quanto tempo bond e azioni dovranno rimanere sotto pressione?
Durante il grande rialzo azionario dell’ultimo anno e mezzo (e in particolare negli ultimi quattro mesi) abbiamo visto spesso le Borse reagire alle notizie negative per poche ore e poi dimenticarle già in serata. Un po’ come i criceti, notoriamente veloci nel dimenticare gli stimoli.
Anche questa volta una parte del mercato azionario è pronta a comprare su ogni ribasso con un riflesso automatico. I bond hanno in genere una memoria migliore e sviluppano una memoria da elefante, alimentata dai bond vigilantes, quando vengono scottati una volta dall’inflazione e patiscono tassi reali fortemente negativi. Non si tocca una seconda volta il ferro rovente e il ripresentarsi dell’inflazione, come accadde negli anni Settanta, genera la richiesta di tassi reali ampiamente positivi. Nel decennio scorso non fu così e i mercati accettarono tassi negativi. Le politiche fiscali erano però più prudenti e l’equilibrio tra domanda e offerta di bond era più stabile e facile da raggiungere.
Detto questo, non vogliamo trasmettere un messaggio di pessimismo, ma solo di cautela e di pazienza. Se infatti si vuole raffreddare un poco l’esuberanza dei consumatori americani è bene che i rendimenti rimangano su questi livelli almeno qualche settimana. Non basta una fiammata di poche ore sui tassi.
In pratica, mentre ribadiamo che in tempi fiscalmente espansivi e geopoliticamente incerti il nucleo dei portafogli obbligazionari dovrebbe rimanere sulla parte breve della curva, per quanto riguarda i bond lunghi siamo compratori graduali su questi livelli ma non ci aspettiamo necessariamente un recupero immediato dei corsi.
Il quadro potrebbe ovviamente cambiare in presenza di dati più contenuti sull’inflazione (già la settimana prossima, con il Pce, potremmo vedere un numero più rassicurante). La fluidità della situazione induce però a non firmare troppi assegni in bianco sulla fiducia.
Per le Borse l’inflazione ha anche un lato positivo, perché gonfia utili e ricavi. La correzione in corso può essere sufficiente, ma anche qui il recupero non sarà dovuto e automatico ma dovrà avere conferme dalla stabilizzazione dei tassi a lungo e dal buon andamento degli utili.
A cura di Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos (rubrica Il Rosso e Il Nero)