Mercati stretti tra tensioni politiche e rialzo dei tassi Usa

A cura di Marco Piersimoni, Senior Investment Manager, Pictet
I solidi dati macroeconomici (ISM@60), i prezzi del petrolio in crescita e un cambiamento inatteso nella retorica  da parte del Presidente della FED Powell (“La FED è ancora lontana  dal raggiungimento del livello neutrale dei tassi di interesse”) hanno spinto al rialzo la curva dei rendimenti statunitense. Dall’inizio del mese  di settembre, i tassi nominali a 10 anni sono aumentati di 30 bps, con un il livello di breakeven dell’inflazione stabile; i tassi reali hanno superato la soglia dell’1% per la prima volta dal 2011.
Sul fronte politico americano, le recenti  notizie sono meno rassicuranti. Il confronto  tra Cina e USA ha raggiunto un nuovo livello di criticità dopo le accuse che il Vice-Presidente Pence ha rivolto alla Cina parlando di “influenza e interferenza maligna” nelle elezioni americane, accuse che hanno gettato benzina  sul fuoco della guerra commerciale. Inoltre, Trump ha criticato  aspramente la FED per le sue recenti  decisioni di politica monetaria (“Penso  che la FED stia commettendo un errore. Sono così restrittivi. Penso  che la FED sia impazzita”).
Sembra  improbabile che la campagna verso le prossime elezioni di medio termine  possa  portare a una stabilizzazione della situazione: il partito Repubblicano ha una condivisa avversione nei confronti della Cina, e alcuni esponenti considerano apertamente la FED responsabile di una mancanza di sorveglianza  o addirittura della turbolenza stessa dei mercati  (Trump), al fine di rafforzare la tendenza positiva del consenso nei confronti di Trump.
Il panorama politico italiano, così come gli asset da esso influenzati, non ha mostrato segni di stabilizzazione, con lo spread tra BTP e Bund sopra quota 300 bps e un duro e costante scontro  tra i due Vice-Premier (Salvini e Di Maio) e diverse istituzioni sia europee (Commissione  UE) che italiane (Banca d’Italia).
Per quanto riguarda il posizionamento del mercato, in questa occasione il volume di investimenti in strategie di vendita della volatilità è stato certamente inferiore rispetto  a quello osservato all’inizio del 2018. In particolare, il numero  di contratti Futures sul VIX attualmente in essere è del 30% inferiore;  le strategie (Inverse VIX ETP) che scommettono sul declino della volatilità  sono quasi del tutto scomparse.
Un punto chiave è rappresentato dal fatto che solo gli ETF sul Nasdaq e sugli HY Bond sono andati  incontro a una significativa liquidazione fino alla chiusura di ieri (pari a circa il 3%). Pertanto, in generale, il recente drawdown non sembra essere causato dagli ETF stessi. Tuttavia, il rischio di ulteriori vendite non può essere trascurato: le strategie “risk parity” hanno liquidato parte  delle posizioni, ma potrebbero essere ancora costrette a liquidazioni forzate a causa dei ribassi contemporanei di azioni e bond (shock di correlazione). Anche questo fattore è però meno pericoloso  rispetto  al caso osservato tra febbraio e marzo.
Le valutazioni relative alle varie asset class risultano ora più che ragionevoli: S&P500 sta quotando a 16 volte il livello degli utili previsto per I prossimi 12 mesi, i rendimenti sul decennale USA sono al 3.2%, mentre dopo la correzione dello scorso febbraio l’S&P500 quotava  a 18 volte gli utili e il rendimento sul decennale era al 2.8%.
Le aspettative relative agli utili erano in rapida crescita all’inizio dell’anno, soprattutto grazie alla riforma fiscale in fase di approvazione. Al momento attuale, al contrario, le revisioni degli utili stanno volgendo al negativo. Questa  tendenza recente potrebbe rappresentare un ostacolo  a una rapida stabilizzazione del mercato, tenendo anche in considerazione il fatto che, dopo la straordinaria stagione degli utili osservata nel secondo trimestre, le aspettative sugli utili sono piuttosto robuste (+24% vs Q3 2017).
D’altro canto,  nelle ultime settimane i riacquisti di azioni proprie da parte  delle imprese sono stati condizionati  dall’entrata in vigore dei periodi di Blackout (da fine settembre fino all’inizio di novembre, dopo la chiusura della stagione degli utili), sebbene alcuni acquisti  autorizzati  siano comunque stati condotti  durante la correzione dei prezzi. A febbraio i buyback  hanno contribuito alla stabilizzazione del mercato.
In conclusione, la politica non sta facilitando una stabilizzazione rapida (al netto di cambiamenti repentini), ma il posizionamento e le valutazioni sono meno preoccupanti di quanto lo fossero nove mesi fa. Per quanto riguarda le imprese (utili e riacquisti di azioni proprie) la situazione non sta fornendo  indicazioni solide.

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