Etf obbligazionari, occorre distinguere miti e realtà

A cura di Spdr Etf (gruppo State Street)

Falso mito 1

Il mercato degli ETF obbligazionari è diventato così ampio da creare distorsioni nel mercato obbligazionario.

Realtà

Malgrado la loro rapida ascesa, gli ETF obbligazionari non rappresentano che l’1,5% dell’intero universo obbligazionario totale investibile e il 3% del mercato high yield statunitense.

Il mercato degli ETF obbligazionari è ancora relativamente giovane, se si considera che il lancio del primo ETF è avvenuto nel 2002. Secondo Morningstar, solo 10 anni fa le masse gestite in ETF obbligazionari rappresentavano $48 miliardi, ovvero circa l’1,9% del mercato globale dei fondi obbligazionari. Gli ETF rappresentavano allora appena lo 0,2% dell’universo totale del reddito fisso investibile calcolato sull’indice Bloomberg Barclays Multiverse, che comprende obbligazioni investment grade e high yield emesse in valute di paesi sviluppati ed emergenti.

Al 30 giugno 2018 gli ETF obbligazionari costituivano il 10,2% del mercato dei fondi mondiale, con attivi per $800 miliardi. Nonostante la loro crescita sostenuta, questi strumenti rappresentano ancora “solo” l’1,5% dell’universo totale di reddito fisso investibile. I flussi sono stati elevati non solo a discapito di altri tipi di strumenti d’investimento già esistenti: hanno anche fatto crescere il mercato in generale.
Se si analizza il loro impatto sul mercato, questi strumenti continuano a rappresentare una fetta relativamente piccola del mercato obbligazionario. La Figura 1 evidenzia alcuni esempi di differenze tra quanto incidono gli ETF all’interno dell’effettivo universo d’investimento e la Figura 2 indica quanto incidono in termini di attività di negoziazione.

In alcuni segmenti del reddito fisso gli ETF stanno diventando una fonte importante di liquidità aggiuntiva per i rispettivi mercati

In linea di massima gli ETF rappresentano meno del 5% degli asset nella maggior parte dei segmenti del più ampio universo obbligazionario in USD; in molti casi, però, questi strumenti rappresentano una fetta maggiore dei volumi scambiati.
Di conseguenza gli ETF obbligazionari possono costituire una fonte di liquidità aggiuntiva per questi mercati. La borsa valori diventa il luogo in cui una serie di diverse tipologie di investitori si ritrova per posizionare il proprio portafoglio ed esprimere un’esposizione obbligazionaria beta in una direzione o nell’altra.
Questo flusso bidirezionale nelle quote degli ETF in genere limita l’impatto sul mercato sottostante (ad esempio, un ETF composto da crediti privilegiati o obbligazioni high yield potrebbe registrare solo $1 di creazione o rimborso netto di quote per ogni $6-8 di valore scambiato sul mercato secondario).

Nel segmento high yield, le negoziazioni di ETF hanno forse iniziato a soppiantare i volumi generati da prodotti sintetici come i total return swap e i credit default swap index (CDX); gli investitori spesso preferiscono l’esposizione cosidetta funded (attraverso strumento fisico) in virtù del suo profilo di performance, che corrisponde meglio al mercato obbligazionario ed evita i molteplici rischi che caratterizzano l’esposizione sintetica.

Falso mito 2

Gli ETF obbligazionari non sono abbastanza liquidi e gli investitori possono incorrere in problemi quando tentano di rimborsare le proprie quote nello stesso momento.

Realtà

La liquidità di un ETF obbligazionario è almeno pari a quella del mercato sottostante che esso replica. La capacità di investire in un ETF tramite il mercato primario e/o secondario può fornire una maggiore liquidità rispetto ad approcci alternativi all’investimento obbligazionario, come i fondi comuni indicizzati o gestiti attivamente.

La struttura unica di un ETF obbligazionario, che consiste in un portafoglio diversificato di obbligazioni scambiabile in borsa come un unico titolo azionario, fornisce agli investitori due fonti di liquidità. Queste due fonti, quella “primaria” accessibile tramite un partecipante autorizzato e quella “secondaria” accessibile direttamente, definiscono il profilo generale di liquidità del fondo.

Mercato primario. Un ETF è un portafoglio di titoli (azioni o obbligazioni) che costituiscono un unico fondo. Le quote di questo fondo sono quotate e si scambiano su una borsa valori (mercato secondario). In linea di massima gli investitori acquistano o vendono quote di ETF tramite il mercato secondario. Tuttavia, se l’ordine di acquisto o vendita è troppo grande per essere scambiato in borsa, l’investitore potrebbe decidere di rivolgersi ad un “market maker”, che a sua volta potrebbe procedere alla negoziazione sul mercato primario.

La dimensione dell’ordine dell’investitore e i volumi di scambio degli ETF determineranno se lo scambio può avvenire sul mercato. Qualora l’investitore potesse operare solo tramite il mercato secondario, ci potrebbe volere tempo per eseguire un ordine voluminoso e rischierebbe quindi di essere esposto al rischio di mercato per un periodo prolungato.

Per risolvere questo potenziale problema, gli emittenti di ETF si associano a vari partecipanti autorizzati (“PA”) i quali, gestendo il mercato primario, fanno sì che gli investitori possano acquistare o vendere quote di ETF in svariate condizioni di mercato. I PA sono noti anche come “market maker”: il loro ruolo in genere è svolto da banche d’investimento o società di trading specializzate. In caso di grandi ordini d’acquisto, i PA sono in grado di creare nuove quote per l’ETF (“creazione”) mentre in caso di grandi ordini di vendita, sono in grado di rimborsare quelle esistenti (“rimborso”). Questo meccanismo “intraday” è chiamato creazione/rimborso e consente agli ETF di accettare grandi ordini di acquisto o vendita, al di là della liquidità fornita dal mercato secondario.

Questo meccanismo di creazione/rimborso favorisce l’esecuzione immediata dell’ordine con le dimensioni e ai livelli di prezzo supportati dal mercato obbligazionario sottostante. Ad esempio, se un PA ha la capacità di acquistare e vendere $1 miliardo di Treasury statunitensi, dovrà essere disposto a creare un mercato di dimensione equivalente su un ETF che investe in Treasury USA, anche se il fondo presenta volumi medi giornalieri di scambio bassi e ha poche masse gestite. La liquidità di un ETF obbligazionario equivale quindi almeno alla liquidità del mercato obbligazionario sottostante.

Mercato secondario. Il mercato secondario è semplicemente la borsa valori su cui si quotano e si scambiano gli ETF. La liquidità del mercato secondario degli ETF può essere valutata osservando il volume medio giornaliero di scambi e lo spread (ovvero la differenza tra il prezzo denaro/lettera, che sono i prezzi a cui gli investitori possono acquistare o vendere il fondo), oltre a premi e sconti rispetto al NAV.

Come indicato in precedenza, la liquidità totale di un ETF può essere misurata con precisione solo se si include anche la liquidità del mercato primario.

La liquidità del comparto High Yield USA viene di tanto in tanto citata come potenziale preoccupazione per gli ETF in periodi di nervosismo del mercato. Tuttavia, l’analisi dei volumi di scambio del mercato rivela che in realtà gli ETF completano il profilo generale di liquidità del mercato.
La Figura 3 di seguito mostra i volumi di scambio storici del mercato high yield ed illustra come entrambi i tipi di liquidità degli ETF (volumi sul mercato primario e su quello secondario) siano minuscoli rispetto al mercato high yield dei titoli fisici in generale.

Dimostra anche come, in periodi di nervosismo del mercato, i volumi di scambio sul mercato secondario degli ETF tendano ad impennarsi, mentre quelli del mercato primario restano relativamente controllati. Ciò indica che anche in periodi di stress di mercato vi è abbastanza liquidità sul mercato secondario degli ETF per consentire agli investitori di scambiarli senza dover accedere al mercato primario e successivamente al mercato generale. Inoltre, ciò indica che anche se gli investitori cercassero di vendere le proprie quote contemporaneamente, il mercato primario degli ETF potrebbe essere utilizzato come fonte di liquidità, considerando in particolare la portata dei volumi di scambio del mercato dei titoli fisici high yield USA.

Falso mito 3

Investire in un ETF obbligazionario significa sovraesporsi alle società più indebitate e di conseguenza più rischiose

Realtà

La capacità di emettere debito è direttamente proporzionale alla solidità finanziaria generale della società. La costruzione dell’indice di un ETF fornisce già da sé diversificazione e spesso adotta dei limiti ai costituenti per ridurre il rischio di concentrazione

Oltre alla vasta diversificazione possibile grazie agli indici, i grandi emittenti di debito sono anche aziende con una base di attivi e profili di reddito importanti, che conferiscono loro la possibilità o la capacità di rimborsare il debito o garantire il servizio del debito nei propri bilanci. Concentrarsi unicamente sull’ammontare del debito di un emittente incluso nell’indice significa trascurare alcune variabili fondamentali.

Gli indici si basano su regole, focalizzandosi sulla diversificazione e la liquidità per garantire l’investibilità e per questo non tutto il debito di un emittente è incluso in un indice, che traccia un quadro incompleto del livello d’indebitamento di una società. Ad esempio, un emittente può aver contratto debiti di breve termine che non si qualificano per l’inclusione nell’indice, oppure un finanziamento di un debito garantito in modo subordinato o un finanziamento denominato in una valuta diversa.

La classifica delle società più indebitate sulla base dell’ammontare del debito, incluse nell’indice Bloomberg Barclays Euro Corporate Bond, è molto diversa da quella del debito generale a lungo e breve termine delle stesse società. Un elevato livello d’indebitamento di un emittente ha poco a che vedere con la capacità dell’azienda di rimborsare il debito o con il suo merito di credito.

Le società più indebitate non rappresentano un rischio maggiore per gli investitori rispetto alle società meno indebitate. Se fosse vero che livelli d’indebitamento più elevati corrispondono ad un maggiore rischio di credito, il mercato delle obbligazioni corporate presenterebbe una diretta correlazione tra rating di credito e debito in essere. Le agenzie di rating, però, tengono conto di numerosi fattori oltre all’indebitamento, come ad esempio la capacità di rimborsare il debito.

Falso mito 4

Gli ETF obbligazionari sottoperformano i gestori attivi quando i mercati sono volatili

Realtà

Durante cinque importanti fasi di volatilità sistemica dei mercati negli ultimi 25 anni, le strategie obbligazionarie indicizzate avrebbero in realtà sovraperformato in media il 77% dei gestori attivi

Abbiamo analizzato cinque eventi di mercato significativi degli ultimi 20 anni che rappresentano periodi di volatilità o turbolenza sui mercati obbligazionari. Tra tali eventi vi sono la cosiddetta crisi finanziaria globale, la crisi del debito greco e il crollo dei prezzi del petrolio nel 2016, che hanno scosso i mercati mondiali.

L’analisi si è concentrata sulla performance dei gestori attivi che si confrontano all’indice Bloomberg Barclays Euro Agg Bond Total Return. I risultati contraddicono il falso mito secondo il quale le esposizioni obbligazionarie indicizzate sottoperformerebbero le strategie attive.

L’indice considerato sovraperforma sempre il gestore mediano. Durante tre degli eventi di volatilità, infatti, l’indice si è collocato nel primo quartile. La convinzione che le esposizioni indicizzate non possano sostenere la volatilità di mercato è un chiaro luogo comune: l’indice ha sovraperformato più gestori attivi di quanti ne abbia sottoperformato.

Ma perché le strategie indicizzate si sono rivelate così resilienti? Durante un periodo di ribassi, gli spread si ampliano e il tasso d’insolvenza aumenta, mentre il cosiddetto movimento “flight to safety”, che porta a spostare gli investimenti verso titoli più sicuri, fa sì che la domanda si concentri sui Treasury.

Purtroppo, ogni gestore attivo sovraesposto al credito e quindi con un beta di credito più elevato, potrebbe essere penalizzato dall’aumento nei tassi d’insolvenza. I gestori che sovraperformano il benchmark durante una fase di rialzo del mercato in linea di massima tendono a non riuscire a prevedere un eventuale ribasso e ridurre il rischio nel momento in cui tutti gli investitori abbandonano la nave. L’esposizione al credito di questi gestori attivi pesa sulla performance in contesti di avversione al rischio. Secondo un’altra opinione, le strategie attive tendono ad essere più concentrate, mentre gli indici offrono una più ampia esposizione che, grazie alla diversificazione, potrebbe ridurre il rischio idiosincratico durante i periodi di volatilità del mercato.

Infine, l’analisi non preclude l’implementazione contemporanea di strategie attive ed indicizzate, al fine di costruire un portafoglio più efficiente. Compiendo un’analisi a più lungo termine, notiamo che entrambe le soluzioni trovano il loro posto; le esposizioni indicizzate possono essere utilizzate in combinazione alle esposizioni attive, giovando alla performance a lungo termine e riducendo i costi.

Falso mito 5

Gli ETF obbligazionari sono utili soltanto per le esposizioni meno complesse. Per le aree specialistiche, come il debito dei mercati emegenti, i gestori attivi offrono rendimenti migliori

Realtà

Un’elevata percentuale di gestori attivi nell’universo del debito dei mercati emergenti ha sottoperformato il proprio benchmark ogni anno dal 2013 in poi

In passato molti investitori credevano che un approccio attivo fosse il modo migliore per investire nel debito dei mercati emergenti (DME). Tale convinzione si basava su alcune supposizioni, come ad esempio che l’esposizione indicizzata fosse troppo cara per poter essere implementata efficacemente nei mercati emergenti. Inoltre, molti investitori considerano il debito dei mercati emergenti come un mercato inefficiente che richiede l’operato di gestori attivi che riescano a identificare ed estrapolare valore cercando di evitare i segmenti deboli del mercato.

La realtà è diversa. Oggi, il debito dei mercati emergenti offre maggiore liquidità e diversità, ma sono pochi i gestori attivi in grado di sovraperformare i benchmark nel lungo termine. Mentre i gestori attivi faticano a generare costantemente rendimenti in eccesso, le strategie indicizzate si sono evolute e ora dispongono di tecniche sofisticate in grado di fornire una performance in linea con il benchmark in modo conveniente.

Per evidenziare questo divario di performance abbiamo analizzato i gestori attivi nella banca dati Morningstar che replicano l’indice JPM GBI-EM Global Diversified (GBI-EM). Come illustrato di seguito, anche se alcuni gestori attivi hanno sovraperformato i loro benchmark, la maggior parte non riesce a farlo nel più lungo termine. Questi risultati di performance rivelano uno schema che ormai si ripete da diversi anni e ci indicano che diversi gestori attivi incontrano spesso molte difficoltà nell’universo del debito dei mercati emergenti.

la sottoperformance dei gestori attivi in periodi di maggiore rischio di mercato e volatilità. Sembra esservi una correlazione tra la sottoperformance del mercato e quella del gestore attivo. La correlazione appare più netta nell’universo in valuta locale, dove peggiore è la performance dell’indice, maggiore è la percentuale di gestori attivi che sottoperforma.

Nel debito in valuta locale, a trainare la performance a breve termine è il tasso di cambio (FX), mentre i tassi locali sono un fattore trainante a più lungo termine. Le valute dei mercati emergenti tendono a svolgere il ruolo di principale valvola di aggiustamento per rispecchiare il sentiment del mercato, il che significa che è particolarmente difficile prendere la giusta decisione, specie in periodi di elevata volatilità. Il debito dei mercati emergenti è intrinsecamente volatile e spesso i rendimenti non rispecchiano i fondamentali, perché determinati dal sentiment degli investitori e dal rischio politico, che un gestore attivo fatica a prevedere.

La diversificazione di un ETF può contribuire a limitare l’impatto di eventi legati al credito. Inoltre, è possibile raccogliere un premio al rischio di credito durante tutto il periodo di esposizione diversificata per compensare tali eventi. Un’ampia esposizione all’indice sembra poter offrire agli investitori una certa protezione da alcuni dei pregiudizi comportamentali tipici del gestore attivo e può fornire rendimenti più elevati, malgrado l’esposizione anche ai segmenti più deboli dell’universo.

Falso mito 6

L’investimento negli indici non funziona per le obbligazioni perché sono troppo numerose per consentire un’indicizzazione efficiente

Realtà

L’obiettivo di un gestore indicizzato consiste nel replicare il rendimento di un indice con un tracking error minimo, non quello di detenere ogni singola obbligazione nell’indice

In generale, non è possibile detenere ogni obbligazione in un indice, considerando l’enorme quantità di obbligazioni esistenti. Ad esempio, l’indice Bloomberg Barclays Euro Aggregate contiene 5.026 obbligazioni diverse* che comprendono:

titoli di Stato in Euro
obbligazioni di emittenti sovranazionali come Kreditanstalt Fuer Wiederaufbau (KFW)
obbligazioni di emittenti europei corporate
obbligazioni cartolarizzate
obbligazioni denominate in euro di emittenti esteri

Considerando il numero di titoli presenti, i gestori tentano di replicare le caratteristiche di rischio dell’indice tramite una campionatura, invece di detenere ogni singolo titolo. Ciò significa replicare duration, curva ed esposizione al credito degli emittenti dell’indice. Poiché non tutti i titoli detenuti negli indici obbligazionari possono essere acquistati, la campionatura può in certi casi costituire la tecnica più efficace di costruzione del portafoglio. Oltre a costi di transazione potenzialmente più elevati per l’accesso a obbligazioni illiquide, la replica completa non è infatti sempre possibile o pratica. Grazie alla campionatura è possibile cercare di costruire un portafoglio che abbia le stesse caratteristiche dell’indice.
In generale, i gestori possono adottare due approcci per far sì che il tracking error resti contenuto e che le deviazioni di performance siano ridotte al minimo a causa delle differenze d’esposizione: top-down o bottom-up.

Falso mito 7

Sono pochi gli investitori in grado di negoziare ETF obbligazionari: il processo è difficile ed è complesso comprendere il metodo di definizione del prezzo e la liquidità degli ETF

Realtà

La complessità può dipendere dalle esigenze dell’investitore, ma vi sono alcuni modi diretti di accedere agli ETF obbligazionari

Gli investitori che intendono negoziare ETF obbligazionari hanno due strade principali a disposizione:

Liquidità su Borsa: Necessita l’accesso ad una piattaforma di trading “front-end” e un conto di brokeraggio o di custodia. E Liquidità fuori Borsa/Over-the-Counter (OTC): per quest’opzione occorre avere rapporti di trading con un broker-dealer e/o un market maker e poter dare istruzioni di regolamento sul conto per essere in grado di inviare e regolare le singole operazioni di trading.

Nel considerare se negoziare in borsa o OTC, i clienti devono per prima cosa tenere conto della dimensione dell’operazione. Come ci si può immaginare, un po’ come per i singoli titoli azionari, le operazioni di grandi dimensioni che superano il volume medio giornaliero devono essere gestite con maggiore cautela e i clienti devono collaborare con un broker-dealer o market maker OTC.

In generale, se la dimensione dell’operazione è comune nel mercato sottostante, dovrebbere essere accettabile nell’ETF. Grazie alla conoscenza dei mercati e alle solide relazioni con i liquidity provider, i team di Capital Markets possono dare un valido aiuto agli investitori, fornendo indicazioni sulla liquidità ed esprimendo opinioni sulle strategie di trading ottimali, a seconda dell’ETF, del mercato sottostante, della dimensione dell’operazione e, soprattutto, delle priorità di chi esegue l’operazione.

Alcuni investitori potrebbero voler comprendere le componenti utilizzate per determinare il prezzo di un ETF, come capitale, interesse, liquidità, interesse maturato/reddito non distribuito. Queste informazioni servono a calcolare il NAV e sono integrate nei costi che un broker deve sostenere per creare/rimborsare quote di ETF, che a loro volta sono compresi nei prezzi che sono disposti ad accettare per acquistare e vendere quote di ETF.

Gli emittenti di ETF in genere pubblicano relazioni quotidiane contenenti tutti questi dati, affinché ogni investitore possa attribuire un prezzo all’ETF. Ad ogni modo, il prezzo resta dinamico poiché dipende da fattori come il momento della negoziazione (è tendenzialmente meglio effettuare la negoziazione quando il mercato sottostante è liquido e la finestra di creazione/rimborso è aperta), i costi della copertura valutaria e gli oneri di bilancio del dealer. E, naturalmente, il prezzo resta dinamico perché domanda e offerta possono variare in base alle dimensioni dell’operazione.

 

 

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