Azionario globale: ecco cosa emerge dall’outlook di Schroders

“Nonostante i rispettabili rendimenti azionari globali del 2023, con l’MSCI World salito finora al 9,1% in dollari, il quadro è tutt’altro che positivo”. A farlo notare è Alex Tedder, Head of Global and Thematic Equities di Schroders, che di seguito spiega nei particolari l’affermazione.

Un insieme di fattori, associato a quello che abbiamo definito 3D Reset, sta determinando un cambio di regime. Nel 2024 le incertezze persisteranno e i mercati azionari resteranno probabilmente volatili. Come sempre, tuttavia, potrebbe rivelarsi esatto il vecchio adagio secondo cui “c’è sempre un mercato toro da qualche parte”. Riteniamo, infatti, che molte aree potrebbero rivelarsi molto redditizie nel 2024.

Il “3D Reset” e i tre cambiamenti da apportare ai portafogli

Negli ultimi dieci anni, la caratteristica più evidente dei mercati finanziari è stata probabilmente la costante diminuzione del costo del rischio. La politica attuata dalle banche centrali dopo la crisi finanziaria globale ha azzerato i tassi di interesse, con un effetto drammatico sui prezzi degli asset, che sono saliti di molto.

Poi è arrivata la pandemia, seguita a ruota dalla guerra in Ucraina: questi eventi hanno cristallizzato pressioni che si stavano accumulando ormai da tempo. I fattori in gioco sono molteplici, ma riteniamo si possano raggruppare in tre categorie: 1) i vincoli demografici; 2) gli imperativi di decarbonizzazione; 3) le iniziative di deglobalizzazione. Insieme determinano quello che chiamiamo 3D Reset.

Guardando agli ultimi 10 anni, fino al 2021, quello che gli investitori potevano fare sembra davvero semplice: comprare azioni, investire nei titoli growth (soprattutto tecnologici), investire principalmente negli Stati Uniti, non preoccuparsi delle valutazioni e sfruttare la situazione (finanziare con il debito). Chiunque abbia seguito questo approccio ha ottenuto ottimi risultati.

Tuttavia, con il 3D reset, per chi investe nell’azionario, è giunta l’ora di cambiare mentalità, in tre modi specifici: 1) aumentando la diversificazione geografica (meno Stati Uniti, più resto del mondo); 2) prestando maggiore attenzione alle implicazioni dei cambiamenti strutturali e 3) focalizzandosi su valutazioni, qualità e rischi.

Guardare oltre gli Stati Uniti, in particolare a mercati poco amati come Giappone e Regno Unito

Come Warren Buffett ci ricorda regolarmente, è dura scommettere contro l’S&P500. Dalla fine del 2010, l’S&P ha realizzato un rendimento cumulativo del 340% in dollari contro il 95% dell’azionario europeo e il 20% dei mercati emergenti; nello stesso periodo la Cina ha registrato un rendimento negativo.

Negli Stati Uniti il settore corporate resta, nel complesso, il meglio gestito e il più innovativo di tutti. È probabile che l’S&P continui a scambiare con un premio sugli altri mercati. Va tuttavia notato che il divario delle valutazioni tra Stati Uniti e resto del mondo attualmente si attesta a livelli estremi: la capitalizzazione di mercato del gruppo “Super-7” è superiore a quella di Regno Unito, Francia, Cina e Giappone messi insieme. Storicamente, per quanto le polarizzazioni possano spesso durare a lungo, è inevitabile che a un certo punto il divario si riduca.

Per essere chiari: non siamo negativi sul mercato statunitense. Escludendo le Super-7 e altri nomi ad alta crescita, l’S&P500 scambia solo leggermente al di sopra della sua media di lungo periodo; anzi, in molti casi le azioni statunitensi a piccola e media capitalizzazione hanno valutazioni attraenti. Quanto alle Super-7, anche se forse non hanno più tanta strada da percorrere, restano casi unici con modelli di business potenti e altamente redditizi. Non spariranno tanto presto.

Tuttavia, dopo anni di rendimenti deludenti, è molto probabilmente giunto il momento di tornare a guardare a mercati poco amati come Giappone e Regno Unito.

Il mercato giapponese è in ritardo dal 1992, quando la bolla dei prezzi degli asset scoppiò con conseguenze catastrofiche sull’economia. Dopo vent’anni senza inflazione e con lo yen svalutato del 50% rispetto al dollaro USA, l’economia giapponese è ora altamente competitiva.

Negli ultimi 20 anni il Regno Unito ha costantemente sottoperformato l’indice mondiale. Eppure, sotto la superficie, il Regno Unito ha molto da offrire. La governance e la trasparenza contabile sono in generale le migliori della categoria. Le società del FTSE sono per lo più aziende globali con un’ampia esposizione ai mercati growth. E delle circa 1.800 altre società quotate, molte sono sottovalutate e poco studiate. Ma soprattutto, il mercato britannico scambia a uno sconto significativo, sia in termini storici sia rispetto al resto del mondo.

Pensare a temi strutturali di lungo periodo

Gli argomenti a favore della decarbonizzazione sono schiaccianti. Superate molte delle pressioni sui costi post-pandemia e la questione della sovraccapacità di alcune aree delle energie rinnovabili, sembra che questo sia un ottimo momento per prendere in considerazione il tema della transizione energetica.

Chiaramente la tecnologia è fondamentale per affrontare molte delle attuali sfide strutturali: l’energia solare e la cattura del carbonio, per esempio, sono temi centrali per la transizione energetica. Analogamente, la sfida demografica troverà ampia risposta nelle scoperte mediche, nell’automazione e nell’intelligenza artificiale.

L’intelligenza artificiale ha catturato l’immaginazione degli investitori e, naturalmente, c’è il rischio sostanziale che su di essa si ponga troppa enfasi, ma la logica sottesa all’entusiasmo del mercato è inconfutabile. Secondo PWC, entro il 2030 il valore economico potenziale dell’intelligenza artificiale raggiungerà i 17.000 miliardi di dollari l’anno. Rispetto all’attuale PIL mondiale di circa 110.000 miliardi di dollari, si tratta di una somma straordinaria e le opportunità nell’area dell’automazione si riveleranno probabilmente immense.

Il prezzo è ciò che paghi, il valore è ciò che ottieni

In un contesto di tassi d’interesse elevati, le valutazioni contano molto di più. Per questo, a nostro avviso, bisogna concentrarsi sulle valutazioni o, più precisamente, sul value for money. Se gli ultimi dieci anni sono stati all’insegna della crescita (soprattutto dei ricavi), i prossimi dieci saranno probabilmente molto più incentrati sulla ricerca di società che offrano un concreto valore reale.

Con questo non intendiamo semplicemente le società a buon mercato. Solitamente i titoli a buon mercato hanno un buon motivo per essere tali. Le società dei settori tradizionali quali energia, finanza e industria non solo sono altamente cicliche, ma devono anche affrontare le grandi disruption causate dalla transizione verso le nuove tecnologie; per contro, una società che scambia a un prezzo alto secondo le metriche attuali può rivelarsi un bluff se non assicura una crescita e flussi di cassa sostenuti per il futuro.

Riteniamo che agli investitori convenga concentrarsi sul lungo periodo, individuare le aree sottovalutate di crescita strutturale e puntare con decisione su società che offrono un vantaggio competitivo duraturo. Come sempre, il prezzo che si paga per un titolo è, appunto, ciò che si paga e il valore è ciò che si ottiene. I mercati azionari globali sono ricchi di valore, soprattutto per gli investitori pazienti.

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