Prendiamo una foto simbolica di quel periodo storico, indicativamente un annetto prima dell’entrata in vigore della normativa e proviamo a confrontarla con lo scenario odierno; dal 2016 al 2021, un lustro in cui il mondo dell’advisory italiano ha vissuto un cambiamento misurabile, ma da interpretare. A raccontarcelo sono i dati Assoreti espressi nelle relazioni annuali e nei comunicati di raccolta dei relativi periodi; numeri alla mano, vediamo insieme le evidenze di un percorso che ha molto da raccontare. Iniziamo con la prima puntata dedicata allo scenario della raccolta.
Lo scenario della raccolta (grafico 1 e 2)
2016
Le reti di consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede chiudevano il 2016 con un bilancio saldamente positivo, realizzando una raccolta netta complessiva pari a 32,9 miliardi di euro. Le scelte di investimento, nel corso dell’anno, avevano privilegiato i prodotti del risparmio gestito, con risorse nette per 18,4 miliardi di euro, pari al 55,9% della raccolta totale.
Entrando nel dettaglio dei prodotti del gestito, la componente dominante a livello di apporti è quella dei prodotti assicurativi, pari a oltre 12 miliardi (il 65% del totale)
2021
Il bilancio del 2021 è positivo per 57,3 miliardi di euro (oltre il 74% in più rispetto al 2016) grazie ad investimenti netti per 42,9 miliardi realizzati (circa il 75% della raccolta totale), nell’insieme, sui fondi comuni di investimento, sulle gestioni patrimoniali e sui prodotti assicurativi/previdenziali. Le risorse nette posizionate, nell’anno, sulla componente amministrata del portafoglio risultano pari invece a 14,4 miliardi di euro. Confrontando quindi questi dati con il 2016, si può notare la massiccia crescita della quota di risparmio veicolata sui prodotti più “remunerativi” per le reti e i professionisti, cioè quelli legati al risparmio gestito.
Ulteriori differenze si possono notare nella distribuzione degli afflussi, dove a farla da padrone sono sempre i prodotti assicurativi, ma con una crescita decisamente importante dei fondi comuni e sicav di diritto estero, che ora valgono oltre il 32,6% del totale contro il 39,6% dei primatisti precedentemente citati.