Divieto retrocessioni, pro e contro del modello britannico

Si evitino posizioni aprioristiche. È la posizione di Maurizio Primanni, ceo di Excellence Consulting, che interviene così sulla controversia riguardante le commissioni di retrocessione. Excellence Consulting ha effettuato uno studio in cui ha confrontato il modello di consulenza finanziaria italiano con quello britannico, dove le commissioni di retrocessione sono state vietate con l’entrata in vigore della Rdr – Retail Distribution Review (il corrispettivo della nostra Mifid). Se si entra nei dettagli della ricerca, si evince che, circa i costi per il cliente, non esiste solo il bianco e il nero tra i due modelli. Oltremanica i clienti pagano al consulente in media l’1,9% (consulenza 0,8% + prodotti 1,1% – Fca 2020).

Analisi dei costi

Il costo dei prodotti è diminuito dopo l’introduzione il 31 dicembre 2012 della Rdr – Retail Distribution Review (il corrispettivo della nostra Mifid) che ha vietato appunto le retrocessioni, ma non vi è una evidenza certificata da parte della Fca della riduzione dei costi totali a carico del cliente, a causa del contemporaneo aumento delle commissioni di consulenza. In merito all’ Italia, non ci sono dati certificati da Consob sul costo medio totale (consulenza + prodotti) per il cliente, tuttavia, i dati della rilevazione annuale Esma di costi e performance dei prodotti d’investimento indicano che le commissioni di gestione sui fondi del nostro Paese sono le più elevate in Europa, anche se va pure menzionato che la tendenza degli ultimi anni è di decrescita.

Mancanza di percezione

Nel 2022 è stato rilevato da Esma per l’Italia un Ter (Total Expenses Ratio) del 2,05% per fondi azionari e di 1,19% per gli obbligazionari. Anche riguardo alla trasparenza dei costi, gli aspetti positivi o negativi non sono tutti da una parte o dall’altra. Se è vero che il pagamento diretto di una parcella (fee only) per la consulenza consente al cliente di valutare il rapporto qualità/ prezzo del servizio ricevuto, nel nostro Paese è vero che non c’è una chiara percezione di come vengano remunerati i consulenti (il 40% dei clienti ritiene che il consulente sia pagato solo dalla banca, mentre il 15% che svolga un servizio gratuito – fonte: Consob, 2021), tuttavia va anche menzionato che le banche, in ottemperanza a Mifid 2, devono rendere disponibile ai clienti il rendiconto dei costi, con dettaglio delle spese del cliente per consulenza e prodotti. Lo studio di Excellence si sofferma anche sulla disponibilità dei clienti a pagare per un servizio di consulenza. Nel Regno Unito il 51% degli adulti afferma di essere disposto a pagare per un consiglio sugli investimenti “se i costi fossero ragionevoli” (2020), mentre i clienti che non hanno chiesto la consulenza sarebbero disposti a pagare una parcella se inferiore all’1% del patrimonio (fonte: Fca). In Italia il 70% circa dei clienti non è disposto a pagare un servizio di consulenza (2021, fonte: Consob), dall’altra parte i servizi di consulenza a pagamento lanciati con successo sul mercato italiano dai principali player hanno a  oggi raggiunto una diffusione media sulla clientela non superiore al 30%- 35% (fonte: Excellence Consulting). Da non dimenticare che i due paesi sono diversi per disponibilità di risorse e hanno una differente composizione della clientela.

Realtà differenti

Nel Regno Unito la ricchezza finanziaria media è più alta che in Italia e i clienti con un patrimonio superiore al milione sono molti di più. Non va dimenticato che la  remunerazione della consulenza basata su commissioni avvantaggia i piccoli clienti che pagano un importo contenuto in valore assoluto e paragonabile ad altre spese che essi sostengono per altri prodotti o servizi professionali. “La nostra analisi ci fa capire che i due modelli hanno entrambi pregi e difetti e che essi si attagliano più o meno bene ai diversi Paesi anche in funzione delle loro caratteristiche”, conclude Primanni.

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