Banche: il peggio è alle spalle, ma la Bce dovrebbe cambiare registro

CREDITO, IL PEGGIO E’ ALLE SPALLE? – Gli analisti non lo dicono ancora apertamente, ma forse il peggio per la crisi del credito italiano è ormai alle spalle, grazie da un lato al progressivo incremento delle coperture, dall’altra all’accelerazione del processo di dismissione dei crediti deteriorati. A fare la parte del leone sono stati o saranno nei prossimi mesi Unicredit (17,7 miliardi di Npl per i quali vi è già l’accordo con Pimco e Fortress più altri 1-1,5 miliardi di cui si sta studiando la cessione), Mps (che a breve dovrebbe cedere 26,1 miliardi di Npl dopo l’intesa col fondo Atlante 2 per l’acquisto del 95% delle tranche mezzanine e junior), Banco Bpm (693 milioni ceduti in giugno, altri 2 miliardi da cedere entro fine anno, con la previsione di cederne altri 3 miliardi a inizio 2018) e Banca Carige (1,4 miliardi in via di cessione).

OLTRE 100 MILIARDI DI NPL CEDUTI ENTRO L’ANNO – Anche le due ex popolari venete contribuiranno al trend, con 18 miliardi di Npl girati alla Sga che poi procederà a cederli sul mercato. In tutto secondo calcoli presentati di recente da Banca Ifis dovrebbero registrarsi nell’arco dell’intero 2017 transazioni per circa 104 miliardi di Npl (operazioni per 33 miliardi sono già chiuse, per altri 71 miliardi si dovrebbero chiudere entro l’anno). Un trend che anche la Banca d’Italia ha certificato essere tra i fattori alla base del calo del totale delle sofferenze lorde che ancora restano nei bilanci bancari, scese a fine luglio a 173,6 miliardi, il minimo degli ultimi tre anni, con sofferenze nette ridottesi a 65,8 miliardi (di cui 47 miliardi relativi ai soli principali gruppi bancari italiani).

BCE MONITORI SOFFERENZE NETTE, NON LORDE – Abbastanza per far iniziare a ricredere circa la “pericolosità” nell’investire in banche italiane alcune società di rating e banche d’affari, ma i banchieri non sono ancora del tutto soddisfatti. Secondo una lamentala comune, infatti, la Bce continuando a insistere sulla necessità di ridurre le sofferenze lorde, anziché quelle nette (come preferirebbero le banche) finisce con l’imporre una dismissione accelerata senza che gli istituti possano procedere a misure alternative come l’ulteriore innalzamento dei livelli di copertura o il tentativo di gestione e recupero dei crediti deteriorati tramite piattaforme interne o esterne. Poiché i prezzi di cessione, almeno per i crediti “unsecured” (non garantiti) sono tipicamente inferiore ai valori netti di libro, ogni cessione nel breve determina nuove perdite e la necessità di ricapitalizzare ulteriormente l’istituto che le effettua, disincentivando le banche dall’effettuare l’operazione anche per non abbattere livelli di redditività che già oggi sono relativamente modesti.

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