Asset allocation a un punto di svolta. L’outlook di Allianz GI

L’invasione dell’Ucraina da parte delle forze armate russe probabilmente segnerà un punto di svolta per tutto il mondo occidentale. E’ improbabile che gli investitori si adeguino a questa nuova realtà dall’oggi al domani – ci sono troppe nuove domande a cui rispondere e obiettivi contrastanti da soppesare. Ma che cosa possiamo attenderci nei prossimi mesi in merito a prezzi, economia e mercati? Prova di seguito a dare delle risposte a questa domanda Stefan Rondorf, Senior Investment Strategist e Global Economics & Strategy di Allianz Global Investors.

I tassi di inflazione appaiono prossimi a un punto di svolta. Il rialzo dei prezzi è proseguito ancora: già prima dell’escalation militare in Ucraina, erano molti i segnali che lasciavano presagire un’inflazione più diffusa e persistente, segnali che dovrebbero intensificarsi per effetto dell’ulteriore aumento dei prezzi soprattutto di energia e alimentari. Ci si deve comunque attendere che in futuro gli aumenti dei prezzi a un certo punto si normalizzeranno. E’ anche vero che le sanzioni contro la Russia potrebbero causare nuovi problemi alle filiere e alle vie di trasporto.

Come conseguenza le prospettive economiche si sono indebolite. L’aumento dei prezzi incide sul reddito delle famiglie destinato ai consumi, mentre le imprese hanno meno certezze in fase di pianificazione e potrebbero rimandare le decisioni di investimento. Per contro, malgrado i persistenti dubbi legati alla pandemia, molti Paesi dovrebbero registrare una vivace domanda nei settori del tempo libero e dei viaggi. Inoltre, i risparmi accumulati negli anni della pandemia dovrebbero consentire di compensare almeno in parte gli oneri legati all’aumento dei prezzi.

Tutto considerato, nei prossimi mesi dovremmo assistere ad una decelerazione della crescita globale, ma al momento non si parla di recessione. Questo vale anche per l’Europa, nonostante le relazioni più strette con Russia e Ucraina.

Un rallentamento della crescita dovrebbe incidere anche sull’aumento degli utili aziendali. Ad esempio, se prima della crisi le stime di crescita degli utili nel 2022 relative all’indice europeo Stoxx600 si attestavano attorno al 9%, ora è più probabile una stagnazione: una recessione degli utili non è infatti una conclusione prevedibile per l’Europa, in parte anche per l’effetto di bilanciamento derivante dall’aumento dei profitti nei settori dell’energia e delle materie prime.

Il rialzo dell’inflazione e l’aumento dei rischi di ribasso per l’economia pongono le banche centrali di fronte a un dilemma. Nelle ultime settimane sia la BCE che la Federal Reserve si sono dette a favore della lotta all’inflazione, almeno a parole. In ogni caso entrambe hanno mantenuto una linea molto espansiva sino a poco tempo fa, e ora sono costrette a intervenire in tempi rapidi e con decisione – una manovra che risulta piuttosto delicata. Il percorso verso una politica monetaria che frenerà l’inflazione a lungo termine e manterrà i tassi superiori al livello neutrale (per gli Stati Uniti si presuppone ad esempio il 2,5% circa) non sarà un percorso breve.

Ed è proprio questo a tenere acceso un barlume di speranza sui mercati azionari e delle altre asset class rischiose: i tassi reali, cioè i tassi al netto degli attuali elevati tassi di inflazione, potrebbero restare in territorio negativo ancora a lungo. Nonostante le criticità del contesto, le azioni potrebbero quindi confermarsi interessanti nel medio periodo rispetto ad asset class nominali come le obbligazioni governative. Su questo fronte non è stato ancora raggiunto il punto di svolta.

Allocazione tattica, azioni e obbligazioni

Anche se al momento sul fronte economico prevalgono i rischi di ribasso, il rischio di entrare in recessione nei prossimi mesi appare piuttosto contenuto. Prima dell’invasione dell’Ucraina, l’economia mondiale stava riacquistando slancio dopo il rallentamento provocato dalla variante Omicron nei mesi invernali. La speranza di una ripresa del settore dei servizi dopo due anni di pandemia è quindi ancora ragionevole.

Qualora rimanesse a lungo sopra i 120 USD al barile, il prezzo del petrolio sarebbe quasi raddoppiato nell’arco di due anni. In passato, spesso ciò ha comportato netti rallentamenti dell’economia. Tuttavia, nelle economie occidentali la marcata riduzione dell’intensità di energia (e quindi la minore dipendenza energetica) e la politica monetaria ancora espansiva, attenuano le implicazioni negative di tale teoria generale.

Di conseguenza, al momento ci sembra prematuro prendere in considerazione uno scenario di stagflazione simile a quello degli anni ‘70. – La probabilità di scenari di rischio che contemplino attacchi informatici o un’offensiva contro uno Stato membro della NATO da parte delle forze armate russe appaiono al momento scarse, ma non nulle.

Il forte incremento dei tassi di inflazione e le pressioni sulle banche centrali hanno dato luogo a un trend ribassista di dimensioni storiche sui mercati obbligazionari statunitensi. Al confronto, le azioni continuano ad essere supportate, soprattutto perché i tassi reali potrebbero rimanere in territorio negativo ancora a lungo.

Azioni

Nell’attuale contesto di notevole incertezza sul piano politico, i dati fondamentali assumono grande rilevanza. Quanto più saranno stabili, tanto più resilienti potrebbero essere i mercati azionari.

Le stime sulla crescita degli utili delle società dell’indice europeo Stoxx600 formulate prima della crisi, pari al 9%, non sono più realistiche. Alle incertezze sulla crescita potrebbe aggiungersi il problema dell’aumento dei costi dei fattori produttivi. L’atteso incremento degli utili nei settori energia e materie prime dovrebbe in parte attutire tale effetto. Gli utili delle società USA dovrebbero risentire della crisi ucraina in misura minore rispetto a quelli delle aziende europee.

In Europa i multipli di valutazione si attestano attorno alla media degli ultimi anni, e a nostro avviso il P/E USA, che su un periodo di 10 anni si è appiattito, rimane elevato. Il mix di crescita più debole e inflazione più elevata incide sulle valutazioni azionarie.

Nel breve periodo il posizionamento degli investitori del mercato azionario risulta inferiore alla media e il sentiment è relativamente pessimista, un contesto che potrebbe creare opportunità in chiave tattica.

I fattori ESG, criteri per definire la sostenibilità delle aziende, con ogni probabilità svolgeranno un ruolo rilevante nella selezione dei titoli nel lungo periodo.

Obbligazioni

Dopo il rialzo dei prezzi dell’energia e il forte incremento dei rischi inflazionistici a medio termine, diverse banche centrali hanno accelerato il processo di normalizzazione della politica monetaria nonostante le maggiori incertezze circa le prospettive di crescita. Tale fenomeno ha innescato un repentino aumento dei rendimenti delle obbligazioni governative statunitensi, soprattutto di quelle con scadenza breve.

Gli investitori del mercato monetario USA prevedono almeno sette rialzi dei tassi da parte della Federal Reserve (Fed) nel 2022, e una prima riduzione del volume di obbligazioni nel bilancio dell’istituto in primavera o in estate. Inoltre, non possiamo più escludere un iniziale inasprimento del tasso sui depositi da parte della Banca Centrale Europea (BCE) nel corso dell’anno.

Nel frattempo alcuni segmenti della curva dei rendimenti USA si sono decisamente appiattiti, segnalando le crescenti preoccupazioni degli investitori obbligazionari per l’economia nel medio periodo. Considerando i rendimenti dei titoli con scadenze più brevi (alcuni mesi) e dei titoli decennali, la curva si presenta tuttavia ancora abbastanza inclinata, un elemento che dovrebbe attenuare i timori di recessione a breve termine.

La prevista fine del programma di acquisto di asset della BCE nel corso dell’anno e i rischi fiscali di natura strutturale (deficit/ indebitamento elevato), potrebbero esercitare pressioni rialziste sui differenziali di rendimento fra i titoli governativi dei Paesi periferici e i Bund tedeschi.

Il debito emergente in valuta forte e in valuta locale dovrebbe risentire del rialzo dei tassi di inflazione e del possibile incremento dei rendimenti (reali) negli USA.

Valute

Il dollaro USA dovrebbe essere supportato dal contesto di avversione al rischio e dall’accelerazione del ciclo dei tassi della Fed.

Tuttavia, in base ai nostri modelli, l’USD presenta ancora valutazioni molto elevate rispetto alle principali divise dei Paesi industrializzati ed emergenti.

Nel medio periodo la valuta statunitense potrebbe essere penalizzata da alcuni fattori. Gli USA presentano tuttora deficit gemelli, vale a dire deficit fiscale e deficit della bilancia delle partite correnti.

Materie prime

In un contesto di forte incremento dell’inflazione, le commodity sono un’asset class molto ricercata; tuttavia, in passato le impennate dei prezzi raramente sono state durature.

Dopo anni di bassi investimenti in capacità produttiva, per diverse materie prime l’offerta è limitata e non soddisfa la domanda attualmente robusta. Molti metalli, come ad esempio il rame, potrebbero essere favoriti ancora a lungo grazie alla domanda legata all’elettrificazione dei trasporti e all’ammodernamento delle reti elettriche.

Al momento il conflitto in Ucraina getta alcune ombre sul mercato energetico: molti acquirenti preferiscono non acquistare più commodity russe, ma non è possibile ampliare la capacità in altre aree in tempi brevi.

Mantenere i nervi saldi

Quando i mercati diventano più instabili, cioè quando aumenta la volatilità (le oscillazioni) e le quotazioni scendono, la domanda è sempre quella: meglio abbandonare la nave o aspettare?

La risposta non è affatto scontata. Naturalmente l’intento è quello di contenere le perdite per poi idealmente tornare a investire dopo la fase di ribasso.

La stampa ha citato un Professore di “finanza domestica” della Goethe University di Francoforte: “meglio mantenere gli investimenti azionari che vendere in tempi di turbolenza”.

Il tempismo (timing), il Sacro Graal della gestione attiva, pone due quesiti agli investitori privati. 1. Quando inizierà la fase di ribasso? 2. Quando sarà il momento di rientrare?

Di norma non ci è dato di conoscere i tempi esatti. Ed ecco un altro problema di finanza comportamentale: chi è uscito dal mercato spesso poi fatica a rientrarvi. L’avversione alle perdite offusca la visione degli investitori e spesso si perdono i giorni migliori della ripresa. E ci sono anche da considerare le incertezze, le possibili battute d’arresto, etc.

Proviamo a spiegare la situazione con qualche numero: chi si è perso i 20 giorni migliori dell’MSCI World negli ultimi 25 anni (cioè: da inizio 1997 a fine 2021), ha ottenuto un rendimento medio annuo del 2,9%. Chi ha mancato i 40 giorni migliori ha perso in media lo 0,4% annuo. Chi semplicemente è rimasto investito ha invece guadagnato l’8,05% p.a.

Naturalmente i rendimenti passati non sono un indicatore attendibile di quelli futuri, ma il modello di finanza comportamentale suggerisce che rientrare nel mercato è più difficile di quanto si pensi.

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