L’Orso domina i listini. Ecco i perchè

di Giuseppe Sersale, Strategist di Anthilia Capital Partners Sgr

Alla fine, il meeting di Jacksol Hole è apparso vagamente “restrittivo“, forse perchè in molti si attendevano che Fisher chiudesse ad un rialzo dei Fed Funds a settembre. Invece il vice presidente FED si è detto fiducioso che il target del 2% di inflazione verrà raggiunto, e ha ribadito che, sebbene la politica monetaria Usa abbia effetti globali, il mandato FED riguarda esplicitamente solo l’economia statunitense.

Sulla Cina ha solo detto che alla FED stanno monitorando la situazione più attentamente del solito. Nulla di particolarmente aggressivo, ma nemmeno niente che escluda una mossa al prossimo FOMC. In generale gli altri speakers (tra cui Carney e Constancio) gli hanno fatto eco, esprimendo fiducia nel raggiungimento degli obiettivi con le attuali politiche monetarie ed evitando significative modifiche ai loro scenari.
Ciò forse contribuisce a spiegare il clima opaco della seduta di ieri, azzoppata anche dalla chiusura per festività di Londra.

A trasformare l’opacità in seria risk adversion ci hanno pensato i PMI finali di agosto, che hanno particolarmente deluso in Asia. Il dato Markit cinese è stato marginalmente rivisto al rialzo, ma il dato composite ha mostrato un marcato calo (48.8 da 50.2 di luglio, e minimo da febbraio 2009) grazie a un vistoso rallentamento del settore servizi, passato da un solido 53.5 a 51.5 . E’ evidente che i segnali di un rimbalzo del manifatturiero si fanno per ora attendere, mentre il settore servizi, che dava qualche speranza alla luce del ribilanciamento dell’economia, sembra aver bruscamente frenato ad agosto. Aggiungiamoci i dati bassi di Sud Corea (47.9) e Taiwan (46.1) e il quadro è completo. Poco importa che colossi come l’India e il Giappone abbiano, visto le circostanze, tenuto (rispettivamente 52.3 da 52.7 e 51.7 da 51.9 ).

Ovviamente, il mercato può non aver gradito anche l’annuncio, da parte delle autorità cinesi, della fine delle misure a sostegno dell’equity. Ma secondo me il fulcro delle preoccupazioni dei mercati è il quadro macro, insieme con il timore strisciante che l’efficacia delle misure straordinarie di easing sia diminuita, lasciando le Banche Centrali a corto di munizioni. Mi spiego così la pessima giornata del Nikkei, vista l’importanza della politica monetaria BOJ per l’economia e gli asset nazionali.

Con queste premesse, l’apertura europea è stata pesante, con gli indici che dopo un gap down hanno tentato un recupero per poi andare a segnare minimi a metà mattinata.
Il bello è che i PMI europei non hanno risentito particolarmente della volatilità d’Agosto: il dato manifatturiero Eurozone è stato rivisto in giù di appena 0.1 dal  dato flash, e conferma un attività in lieve accelerazione dal secondo trimestre, nuovi ordini in miglioramento e tassi di assunzione ai massimi da 4 anni. Il dettaglio vede la Germania, potenzialmente più colpita dal rallentamento cinese, accelerare marginalmente. Meno brillanti i dati della periferia europea, ma nel caso dell’Italia abbiamo, per una volta, buone notizie sul fronte “hard data”: il GDP del secondo trimestre è stati rivisto a +0.3% da +0.2% grazie ai consumi interni, mentre la disoccupazione ha più che ritracciato il balzo di giugno segnando un incredibile 12%, da rivisto 12.5% e vs attese per un 12.7%.
Insomma l’Eurozone continua a “macinare” incurante, per il momento, delle ambasce asiatiche. Il che è assolutamente in linea con quanto evidenziato dagli aggregati monetari (il credito alle imprese non finanziarie ha mostrato a luglio il primo dato positivo anno su anno da maggio 2012).

L’arrivo degli USA non ha aiutato il quadro. Se il PMI manifatturiero di agosto è stato rivisto marginalmente in positivo (a 53 da 52.9) ci ha pensato l’assai più seguito ISM manufactoring di Agosto ad affossare il sentiment, segnando il minimo da maggio 2013 (51.1 da precedente 52.7 e vs attese per 52.5). La debolezza è diffusa nei sottoindici, con cali robusti negli ordini e nella produzione (che restano però in espansione). Quello che ci voleva per alimentare la “growth scare” di origine asiatica che attanaglia i mercati, e poco importa se per esempio il construction spending di luglio ha sorpreso in positivo, mostrando un settore immobiliare sempre più in forma. Wall Street si è orientata al ribasso e al momento, trascinando l’Europa ad una chiusura pesante, e per il momento non ha ancora trovato un fondo.

Sorprendente la reazione da parte del dollaro, che, dopo un iniziale balzo a 1.132 vs euro ha sostanzialmente tenuto anche a fronte dell’ ISM per poi ripiegare a fronte dei commenti di Rosengren, secondo cui ci sono “ottimi motivi” per pazientare sui tassi.
E un po’ sorprendente la reazione dei bonds, con il treasury che resta in area 2.2% (vs 2% una settimana fà) e il Bund che non riesce ad avvantaggiarsi nemmeno un po’ dxella fiammata di risk adversion.

L’indolenza dei bonds alimenta ulteriori interrogativi sulle  influenze globali delle politiche monetarie cinesi. Da diversi giorni si guarda con preoccupazione alle risorse dispiegate dalla PBOC a difesa del cambio. Il ragionamento è il seguente: il mantenimento del peg col $ quando le pressioni sullo Yuan erano al rialzo ha prodotto l’accumulo di enormi riserve valutarie (e meno male, visto che queste sono una garanzia di stabilità in periodi di fuga di capitali). Larghissima parte di queste riserve sono state investite in treasuries US, un fenomeno che ha contribuito a fare definire “abbraccio mortale” il rapporto tra Cina e USA (Gli USA compravano merci cinesi alimentando la crescita e la Cina finanziava il deficit US). Ora che i flussi sono invertiti, si parla di Quantitative Tightening cinese, ovvero si teme che la manovra di vendita di treasuries sia una sorta di QE al contrario, che si contrappone alle misure di ECB e BOJ, inasprendo le condizioni finanziarie globali.

Personalmente dissento da una visione cosi meccanica.
Il QE lavora sostanzialmente in questo modo: la Banca Centrale compra bonds, levandoli dal mercato, e vi immette liquidità, generando i noti effetti (aumento dell’offerta di moneta, migrazione degli investitori su altri asset, o verso investimenti produttivi, compressione dei tassi).
La PBOC, quando comprava miliardi di treasuries, eventualmente esercitava una compressione sui rendimenti, ma non iniettava liquidità in $ sul mercato, in quanto il corrispettivo degli acquisti era stato precedentemente drenato comprando $ contro Yuan per tenere il cambio ancorato.
Parimenti, ora non sottrae liquidità in dollari dal mercato, perchè il corrispettivo delle vendite viene impiegato per sostenere lo Yuan e quindi ritorna sul mercato tramite vendite di $/Yuan. L’unica offerta che la PBOC modifica è quella di Yuan (che è in effetti nel suo controllo) riducendola. Non ha caso le autorità cinesi hanno abbassato la riserva obbligatoria bancaria, allo scopo di ripristinare il livello di liquidità voluto.
L’unico impatto che si può avere è quindi sui rendimenti dei treasury (ed eventualmente degli altri bonds governativi globali). Si tratta di un impatto difficile da quantificare, cosi come lo è quello dei QE passati e presenti. Per il resto si tratta di timori infondati, a mio modo di vedere.

Un ultima nota sull’oil, autore di un balzo del 25% in 3 sedute, originato da un catalyst di affidabilità dubbia, innestato un un positioning estremamente difensivo. La parziale smentita della notizia che l’OPEC ha intenzione di modificare la sua strategia causa oggi un robusto ritracciamento.
Segno dei tempi.

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