Fondi pensione: con la crisi chi può aumenti i contributi

Aumentare il risparmio in tempi di crisi

Come dovrebbero reagire i risparmiatori alla crisi provocata dalla pandemia di Covid-19? La risposta è molto differente in termini di asset allocation e fabbisogni a breve termine a seconda che il risparmiatore sia un 60enne che vede avvicinarsi l’età pensionabile o un 30enne agli inizi della sua carriera, ma per quanto riguarda i piani di contribuzione a forme di previdenza integrativa, nei casi di crisi una ricetta viene spesso consigliata: se siete in grado di sostenere lo sforzo finanziario, dovreste cercare di aumentare la percentuale di reddito dedicato al risparmio previdenziale.

Maggiori contributi per i fondi pensione

Potrebbe sembrare controintuitivo, in un momento in cui molti investitori cercano di uscire il più rapidamente possibile dagli investimenti sull’azionario (e sull’obbligazionario a lunga scadenza) e di certo se rischiate di perdere il posto di lavoro o di vedervi comunque ridotto lo stipendio, potrebbe semplicemente non essere possibile. Eppure a lungo termine l’idea di raddoppiare i nuovi contributi per tutta la durata della crisi dei mercati andrebbe presa in considerazione. La vera variabile della vostra futura pensione è infatti la vostra capacità di risparmio attuale.

Più azionario comprato a prezzi in calo

Non possiamo conoscere in anticipo o controllare gli andamenti dei mercati, ma possiamo decidere quanto risparmiare. Da notare che dato che i fondi pensione acquistano una percentuale prefissata tra un minimo e un massimo di azionario, quanto più le quotazioni salgono e quanto meno titoli potranno acquistare, mentre l’opposto accade in periodi di crollo dei mercati. Aumentare i contributi al fondo pensione in questi mesi tendenzialmente amplifica questo meccanismo, a beneficio delle future performance di lungo periodo. Non è solo teoria, almeno nel caso di mercati efficienti e di fondi pensione ben gestiti.

Occasioni d’investimento su mercati efficienti

Gli americani che durante il 2008-2009 incrementarono i propri versamenti ai propri 401 (K) con l’indice S&P500 in calo da 1558 a 725 punti, hanno poi visto l’indice non solo tornare sui massimi, ma raddoppiare ancora rispetto ad esso nei 10 anni successivi. Chi acquisterà ora con l’S&P500 attorno ai 2.300 punti contro i quasi 3.400 di poco più di un mese fa potrebbe dunque fare a sua volta un ottimo affare da qui al 2030. E in Italia? Le cose non sono andata proprio così purtroppo. Prima della crisi finanziaria del 2008-2009 l’indice Ftse Mib era tornato a sfiorare i 44 mila punti per poi precipitare sui 15 mila nel febbraio 2009.

In Italia la borsa è rimasta distante dai massimi storici

Un ulteriore crollo partì nella primavera del 2011 per via della crisi del debito sovrano e dell’esplodere dello spread Btp-Bund e fece ridiscendere l’indice sino sui 12.400 punti circa. Da allora nonostante vari tentativi l’indice non è mai tornato sopra i 24.000 punti, mantenendosi dunque non meno del 45% al di sotto dei massimi ante crisi 2008-2009. Attualmente il Ftse Mib oscilla vicino ai 15.700 punti. Chi avesse dunque cercato di approfittare della caduta per rafforzare la percentuale di azionario si ritroverebbe ancora con una significativa minusvalenza implicita. Andrà meglio nel prossimo decennio?

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