Asset allocation, Cina: scenario poco convincente all’orizzonte

La decisione della Cina di mandare in pensione la sua politica zero-Covid è stata accolta come una notizia sorprendente, che faceva ben sperare per il futuro. Il mercato azionario aveva accolto questa novità con entusiasmo, tanto che l’indice MSCI China All Shares, attorno alla metà dello scorso gennaio, era cresciuto anche del 40%. Tuttavia, da allora questo trend sembra essersi invertito, con l’indice di riferimento che ha ceduto il 15% del valore creato. Come possiamo spiegare tutto questo? Ecco di seguito la view di Jean Marie Mercadal, Chief Executive Officer di Syncicap AM (partecipata di Ofi Invest AM).

Nel primo trimestre di quest’anno, il Pil cinese è cresciuto del 4,5% rispetto allo stesso periodo del 2022, con il paese che ha registrato buoni dati di mobilità durante la Golden Week, il periodo di vacanza che si ha attorno al Capodanno lunare. Tuttavia, questa spinta iniziale è andata rapidamente ad affievolirsi, come dimostra il fatto che il Pmi del settore manifatturiero si è ridotto per il secondo mese consecutivo, toccando il punto più basso da dicembre 2022 (48,8). Inoltre, sebbene il Pmi di servizi e costruzioni resti ancora sopra la soglia di 50,0 (a 54,5), risulta comunque in calo rispetto al mese scorso (56,4). Ad aggiungere ulteriore pressione sono gli investimenti stranieri, in calo del 3,3% nei primi quattro mesi dell’anno, e l’occupazione giovanile, aumentata fino a quasi il 20%. Come se non bastasse, tutto questo deve essere inserito in un contesto di relazioni internazionali molto tese.

In conclusione, sembra essersi diffuso un generale sentimento di sfiducia nei confronti del Dragone, con il Governo centrale che pare non avere piani di stimoli all’economia ben definiti, in un momento in cui i tre comparti che sono sempre stati il volano della Cina stanno arrancando.

Il primo è il comparto dell’immobiliare. Le tutele introdotte dalle autorità di Pechino hanno permesso a questo di stabilizzarsi dopo un periodo di forti turbolenze, ma da ora in poi, non si potrà più fare affidamento su questo mercato come driver di crescita. Gli investimenti nell’immobiliare si stanno esaurendo e, da inizio anno, hanno subito una contrazione del 6,2%; inoltre, riteniamo che questo subirà l’influenza di altri due fattori: la lotta alla speculazione intrapresa dal governo al fine di rendere gli alloggi più accessibili e la contrazione del numero di abitanti delle quattro maggiori città cinesi nel 2022 a causa del generale calo demografico.

Il secondo segmento è l’export. Le esportazioni generano circa il 20% del Pil cinese, il che significa che questa nazione non può isolarsi dal resto del mondo; tuttavia, il Dragone deve fare i conti con due elementi che potrebbero metterlo in una situazione complicata: la guerra commerciale intrapresa dagli Stati Uniti a colpi di tariffe ed embarghi e il rallentamento dell’economia di questi ultimi e anche dell’Europa.

Il terzo e ultimo segmento è quello degli investimenti in infrastrutture. Dopo la crisi del 2008, il governo locale sostenne l’attività economica attraverso una serie di programmi molto ambiziosi di investimenti in infrastrutture. Oggi, purtroppo, questa via non è più percorribile a causa di una domanda per nuove infrastrutture relativamente bassa e, soprattutto, di molti vincoli finanziari in vigore. Infatti, il tetto massimo imposto al rapporto deficit/Pil quest’anno è stato stabilito al 3%, anche per porre un freno alla crescita esponenziale che il debito cinese (inteso come somma del comparto pubblico e privato) ha vissuto negli ultimi anni, arrivando a una quota assimilabile a quella di una nazione occidentale, pari al 280%. Tuttavia, ciò che distingue la Cina dai paesi occidentali è che una grande quantità di questo debito è detenuta dal mercato domestico e che questa dispone di ampie riserve di valute straniere e di un ampio surplus commerciale. Questi elementi sono molto importanti, in quanto ci fanno immaginare che l’eventuale ripresa dell’economia sarà guidata da misure di tipo monetario. Infatti, le soglie minime sulle riserve imposte alle banche sono state progressivamente ridotte, passando dall’11,25% del 2019 all’odierno 7,6%. Inoltre, anche il tasso di rendimento di medio termine è sceso al 2,75%.

Alla luce di quanto emerso sopra, l’obiettivo del Governo di registrare una crescita del 5% sembra sempre più fuori portata. Per questo è importante seguire attentamente cosa sarà stabilito a seguito della riunione semestrale del Politburo cinese, che quest’anno è stata anticipata proprio al mese di giugno. Da questa riunione potrebbero emergere misure come il taglio delle tasse per le imprese in ambito high-tech o l’introduzione di misure ad hoc volte alle famiglie, dato che il governo deve spingere sulla crescita dei consumi interni come principale driver di crescita economica. Inoltre, questa seconda ipotesi sembra essere sostenuta anche dal fatto che i consumi sono ancora una componente alquanto limitata nell’economia cinese, rappresentandone appena il 38% (negli Stati Uniti, questo segmento arriva al 70%). In generale, però, gli ultimi dati di Bloomberg sulle previsioni economiche hanno rivisto le proiezioni di crescita del Dragone, che ora si attestano a -5,5% nel 2023.

Per quanto riguarda i settori, quelli che più probabilmente saranno interessati da misure di sostegno da parte dell’autorità centrale saranno: il tech, visto che il Paese intende preservare la sua leadership nel campo degli armamenti (come avviene negli USA); l’energia green, con la Cina che vuole raggiungere una certa indipendenza energetica in linea con l’obiettivo di raggiungere la carbon neutrality entro il 2060; lo svago; la sanità, con uno sguardo particolare alla silver economy e all’invecchiamento generale della popolazione; il gaming e la cosmesi.

Anche il mercato azionario ha risentito della flessione economica, con le valutazioni che sono crollate in maniera diffusa e che ora scambiano a un 2023 PER di 11x, con previsioni di crescita dei guadagni tra il 15% e il 20%.

In conclusione, ci troviamo in uno scenario in cui i mercati, sia domestici sia esteri, sono sprovvisti di un quadro di riferimento nei confronti di una Cina che ha subito mutazioni profonde dal punto di vista politico. In particolare, sembra che gli investitori internazionali sembrano voler “abbandonare” le azioni di questa nazione, nonostante abbiano ricevuto valutazioni positive a inizio anno e siano scambiate sui mercati a un prezzo che sembra decisamente scontato.

 

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