Italiani sempre più “Bot people”: la ricerca di Fabi

Gli italiani sono sempre più “Bot people”: è quanto emerge dall’ultimo report Analisi&Ricerche della Fabi. 

Ad agosto e settembre 2025 il debito pubblico italiano si è attestato a 3.081 miliardi di euro. Ma la crescita dell’ammontare complessivo non è l’unico elemento rilevante: a cambiare in profondità, tra il 2019 e il 2025, è soprattutto la distribuzione tra i diversi detentori, una mappa che oggi appare molto più articolata rispetto a quella dell’ultimo anno pre-pandemico e anche rispetto alla fase centrale dell’emergenza sanitaria. Nella fotografia più completa, quella dell’agosto 2025, gli investitori esteri restano — come in tutto il periodo — i principali sottoscrittori dei titoli di Stato italiani. Detengono 1.039,9 miliardi, pari al 33,8% del totale, una quota più alta di quella registrata sia nel 2021 sia nel 2019. Seguono la Banca d’Italia, con 592,1 miliardi e una quota del 19,2%, e le banche italiane, che hanno in portafoglio 620,5 miliardi, pari al 20,1% del debito. Più distanziati i fondi e le assicurazioni, che si attestano a 386,4 miliardi (12,5%). Il dato più interessante riguarda però le famiglie e le imprese, la cui esposizione sale a 442,4 miliardi, raggiungendo una quota del 14,4%, la più alta dell’intero periodo e quasi il doppio rispetto al minimo segnato nel 2021. Complessivamente, dal 2019 a oggi il debito pubblico del Paese è cresciuto di 665 miliardi, pari a un incremento del 27,5%.

Il confronto con dicembre 2021 mette in luce la trasformazione avvenuta negli ultimi tre anni. All’epoca il debito pubblico era fermo a 2.686,6 miliardi, quasi 400 miliardi meno di oggi. Gli investitori esteri, pur rimanendo il primo gruppo, avevano una quota pari al 29,2% e un’esposizione inferiore di oltre 250 miliardi rispetto ai livelli attuali. La Banca d’Italia era molto più presente, con 676,7 miliardi e una quota del 25,2%, grazie ai programmi varati dall’Eurosistema negli anni della pandemia. Le banche italiane avevano un peso più rilevante, pari al 24,5%, contro il 20,1% odierno; mentre fondi e assicurazioni incidevano per il 13,1%. Le famiglie e le imprese, invece, erano al minimo storico: appena 212,2 miliardi, pari al 7,9%, un valore che rende ancora più evidente l’inversione di tendenza del 2025. Rispetto a dicembre 2019, il quadro si modifica ulteriormente. Sei anni fa il debito pubblico totale era pari a 2.415,6 miliardi, dunque 665 miliardi meno dell’attuale. Gli investitori esteri detenevano 773,6 miliardi, con una quota del 32%, quindi leggermente inferiore a quella del 2025 ma comunque dominante. Le banche erano il secondo gruppo per esposizione, con 625,3 miliardi, pari al 25,9% del totale: una quota che si è progressivamente ridotta nel tempo, pur in presenza di valori assoluti sostanzialmente stabili. La Banca d’Italia aveva un ruolo più contenuto rispetto al biennio pandemico, detenendo 405,5 miliardi e il 16,8% del debito; una quota destinata a crescere sensibilmente fino al picco del 2022 per poi ridursi nella fase di normalizzazione successiva. Fondi e assicurazioni erano poco sotto ai livelli attuali, con 381,4 miliardi e una quota del 15,8%, e dunque mostrano una dinamica piuttosto piatta nel corso degli anni. Cittadini e aziende, invece, detenevano 229,8 miliardi, pari al 9,5% del debito, un valore già inferiore a quelli degli anni Duemila ma comunque più alto rispetto al crollo del 2021.

Osservando questi tre punti temporali — 2019, 2021 e agosto 2025 — emerge un quadro chiaro. Gli investitori esteri restano sempre il principale detentore dei titoli di Stato italiani, ma nel 2025 rafforzano ulteriormente il proprio peso, contribuendo in modo decisivo a finanziare la crescita del debito. La Banca d’Italia attraversa una parabola coerente con gli interventi dell’Eurosistema: un forte aumento degli acquisti durante la pandemia, fino a superare il 26% del debito nel 2022, seguito da una riduzione significativa nella fase post-emergenziale. Le banche italiane mantengono un ruolo solido in valore assoluto, ma la loro incidenza cala in modo continuo rispetto al totale del debito, a testimonianza di una minore concentrazione domestica sui portafogli bancari. Fondi e assicurazioni restano stabili, senza incrementi significativi né in valore né in quota. Famiglie e aziende, infine, sono il vero elemento di novità: dopo anni di progressivo disimpegno, tornano a investire in Btp in modo massiccio, più che raddoppiando l’esposizione rispetto al 2021 e aumentando di oltre 200 miliardi il valore detenuto rispetto al 2019. Nel complesso, il 2025 consegna un debito pubblico non solo più grande, ma anche più distribuito. La fine dell’eccezionalità pandemica e la riduzione degli acquisti della Bce hanno spostato una parte rilevante dei titoli dalle mani dell’Eurosistema verso investitori privati, con una combinazione di capitale internazionale e risparmio delle famiglie italiane che torna a svolgere un ruolo da protagonista. Si tratta di una riconfigurazione che riduce la dipendenza dalle banche e dalla banca centrale e che, allo stesso tempo, ridefinisce il rapporto tra Tesoro, mercati e cittadini italiani.

SILEONI: “LE FAMIGLIE PREMIANO LA FIDUCIA NEL PAESE, LE BANCHE SONO PILASTRO DELLA STABILITÀ FINANZIARIA”

“Le famiglie italiane stanno tornando a investire nei titoli di Stato e lo fanno perché hanno fiducia. Fiducia nel Paese, fiducia nella sua tenuta sociale e politica, fiducia nella capacità dell’Italia di attraversare una fase internazionale complicata con più solidità rispetto ad altri grandi partner europei. Questo dato non nasce per caso: le famiglie non mettono i loro risparmi nei Btp se non percepiscono stabilità, continuità e una prospettiva credibile. Allo stesso tempo, il ruolo delle banche rimane fondamentale: pur con una quota relativa in calo continuano a garantire oltre 620 miliardi di debito nei propri portafogli. Una presenza massiccia, strutturale, che testimonia ancora una volta quanto il settore bancario sia un pilastro della stabilità finanziaria del Paese. Le banche fanno la loro parte, in modo responsabile, come sempre: in piena pandemia, quando sono state un argine, anche grazie alle lavoratrici e ai lavoratori bancari; oggi, con un approccio prudente, ma senza sottrarsi al proprio dovere. Poi c’è il capitolo degli investitori esteri, che sono tornati con forza e oggi rappresentano più di un terzo del nostro debito pubblico. È un segnale politico, prima ancora che economico. Con l’Europa attraversata da tensioni elettorali, instabilità istituzionale e crescita debole — basti guardare cosa sta accadendo in Francia e Germania — l’Italia è percepita come un porto più sicuro, un mercato più affidabile, un Paese che garantisce maggiore continuità. È proprio qui che si vede la differenza: famiglie, banche e investitori internazionali mostrano tre dinamiche diverse, ma tutte convergono su un punto. L’Italia è oggi considerata più stabile e più credibile di altri grandi Paesi europei. È questa la vera chiave politica dei dati” commenta il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni.

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