“Le banche sono di gran lunga il settore più grande dei mercati delle obbligazioni societarie. Tuttavia, gli analisti e i gestori di fondi specializzati in questo settore sono pochi e vengono considerati dei nerd. Questi specialisti – e io mi considero uno di loro – spesso amano nascondersi dietro il loro gergo, con termini come “Common Equity Tier 1“, “attività ponderate per il rischio”, “costo del rischio”, “svalutazione dei prestiti IFRS9“, “emissione di obbligazioni MREL“, “strato di capitale aggiuntivo di classe 1” e così via. E per quanto ampio possa essere il mercato delle obbligazioni bancarie, di fatto è ancora una nicchia in cui gli analisti sono più simili ai meteorologi che non riescono mai a prevedere come, quando o addirittura perché una banca possa fallire”. Ad affermarlo è Jérémie Boudinet, Head of Investment Grade Credit Portfolio Management de La Française AM, che di seguito spiega nei particolari la view.
Le banche non falliscono come le società non finanziarie
Le banche non “muoiono” o falliscono. Sono troppo rilevanti dal punto di vista economico e soggette al rischio di contagio per fallire davvero, come farebbe una normale società non finanziaria. Le banche possono essere messe “in risoluzione”, “sotto la supervisione della banca centrale”, “nazionalizzate” o vendute a un prezzo simbolico a un’altra banca. Ci sono leggi e regolamenti che possono controllare il modo in cui le banche potrebbero fallire, ma molto spesso vengono aggirate (come è successo ad esempio, per diverse banche tedesche negli ultimi anni) o modificate da un giorno all’altro per assecondare il volere dei regolatori (ad esempio, Credit Suisse).
Le risoluzioni bancarie (cioè la designazione ufficiale di quando una banca fallisce) non si differenziano mai l’una dall’altra per un motivo che è sempre stato sottovalutato da analisti e investitori: sono prima di tutto decisioni politiche, volte a preservare la stabilità finanziaria. L’espressione “whatever it takes” rende bene l’idea. Tuttavia, ciò ha conseguenze per gli investitori obbligazionari: a seconda del tipo di strato obbligazionario in cui si è investito (classificato in base alla subordinazione, ossia alla probabilità di subire perdite), l’esito di una risoluzione può non essere sempre logico, né facile da stimare.
Due esempi per spiegarlo:
- Banco Popular: sebbene i problemi legati ai fondamentali e di corporate governance della banca fossero ben noti da tempo, la situazione si è aggravata molto rapidamente nel momento in cui sono emerse voci secondo cui alcuni politici spagnoli locali stavano consigliando di ritirare i depositi. Mentre i parametri di solvibilità erano ancora visivamente buoni, la banca ha subito una crisi di liquidità in poche settimane, tant’è che la BCE ha deciso di intervenire e venderla a Santander per 1 euro. Tutti gli azionisti e i detentori di debito subordinato hanno perso completamente tutto senza alcuna possibilità di recuperare in parte il loro investimento. Il debito senior è stato, invece, preservato e trasferito a Santander.
- Credit Suisse: la banca è stata ampiamente colpita da problemi di corporate governance e da controversie sorte già nel 2020 e che hanno raggiunto l’apice nel 2022, quando la banca ha perso quasi un terzo della sua base di depositi tra il secondo e il terzo trimestre del 2022. Un aumento di capitale e i pessimi risultati del quarto trimestre del 2022 non sono riusciti a ripristinare la fiducia, tant’è che il colpo fatale è arrivato dalla fuga di tre banche statunitense.
Solvibilità e liquidità erano ancora solide poche settimane prima del crollo definitivo. UBS ha acquistato la banca e, sebbene i detentori di azioni di Credit Suisse siano stati pesantemente diluiti, se la sono cavata un po’ meglio dei detentori di obbligazioni Additional Tier 1, che hanno perso tutto a causa di una modifica della legge approvata un giorno prima della decisione regolamentare.
Questi due esempi servono a dimostrare che i fallimenti bancari possono verificarsi in tempi relativamente brevi e sorprendere molti investitori, non seguendo un classico processo di “ristrutturazione aziendale”. Abbiamo molti altri esempi in cui tutti gli stakeholder sono stati risparmiati e altri in cui la maggior parte degli stakeholder è stata colpita, e in misura molto diversa.
Perché le banche falliscono e come possiamo prevederlo, o almeno proteggerci da questo fenomeno?
Analizzando gli esempi di Banco Popular e Credit Suisse si può identificare uno schema che si ripete. Le banche vanno in crisi a causa di corse agli sportelli (cioè di fughe di depositi) e non a causa di problemi di solvibilità o di redditività.
Dopo quanto accaduto negli Stati Uniti negli ultimi mesi, dove tre banche sono crollate nel giro di poche settimane a causa di una rapida fuga dai depositi, si potrebbe sostenere che tutte le banche europee potrebbero essere a rischio. Tuttavia, non c’è fuoco senza fumo. I depositi non dovrebbero scomparire da un giorno all’altro solo perché i clienti sono meglio remunerati altrove. La base di depositi abituale delle banche europee è più solida, poiché altre opportunità richiedono un costo. Le tre banche statunitensi avevano problemi di bilancio più profondi e una cattiva gestione del rischio, che hanno poi portato alla corsa agli sportelli.
C’è però un problema: come si può sapere se una banca crollerà o meno a causa di una crisi di liquidità? Quanto sono affidabili tutte quelle cifre da nerd fornite dagli analisti bancari sulle metriche di solvibilità e liquidità se le stesse banche possono crollare in poche settimane?
Possiamo suddividere la questione in più punti:
- Profittabilità e rischi legati agli asset: la generazione di utile netto è il modo più diffuso per creare coefficienti patrimoniali solidi che, a loro volta, consentono alle banche di sostenere shock macroeconomici o idiosincratici più severi. Naturalmente, la questione è molto più importante per gli azionisti che per gli obbligazionisti, i quali desiderano solo che la banca rimanga a galla in futuro. Alcune banche possono avere profitti netti negativi per diversi anni e rimanere in vita (Natwest, precedentemente nota come Royal Bank of Scotland, è stata in perdita per 8 anni consecutivi senza alcuna crisi di liquidità!)
- Controversie e questioni legali: diverse banche sono state coinvolte in vari scandali negli ultimi 15 anni. Deutsche Bank è tristemente nota per essere stata coinvolta nella maggior parte di essi, cosa che l’ha portata addirittura sull’orlo del collasso nel 2016. Anche BNP Paribas ha ricevuto una pesante multa da 9 miliardi di dollari da parte delle autorità statunitensi nel 2013, riuscendo comunque a cavarsela. Questi problemi non si limitano a ostacolare la redditività, ma evidenziano la mancanza di una buona governance aziendale e la potenziale incapacità di ripristinare la fiducia, a meno che non vengano adottate misure forti.
- Problemi di solvibilità: Negli ultimi dieci anni le banche europee sono state pesantemente costrette dalle autorità di regolamentazione e dai governi a rafforzare i coefficienti patrimoniali. Quelle che non sono riuscite a farlo sono state costrette a fondersi con altri istituti, il che ha portato a un grado di concentrazione del settore molto più elevato (la Spagna è un ottimo esempio di questa tendenza). Se una banca non rispetta i requisiti di solvibilità, l’autorità di regolamentazione la costringerà a raccogliere capitale, a vendere attività o a fondersi con un altro player. Una banca con bassi parametri di solvibilità rappresenta una minaccia per i suoi investitori, che potrebbero diventare più riluttanti a prestarle denaro sui mercati obbligazionari. Ma la banca centrale è sempre pronta a fornire liquidità, se necessario, a meno che…
Problemi di liquidità e fuga dai depositi: è qui che le cose possono degenerare molto rapidamente. Una banca può avere tutto il capitale e i profitti possibili, ma non può sostenere la sfiducia dei suoi clienti e delle sue controparti. La fuga dei depositi è una profezia che si autoavvera e un circolo vizioso, in cui i clienti vogliono scendere dal treno il prima possibile. La banca centrale può agire come “prestatore in ultima istanza”, ma potrebbe essere riluttante a bruciare centinaia di milioni di contanti ogni giorno solo per tenere a galla l’istituto in difficoltà. Inoltre, le autorità di regolamentazione e le banche centrali auspicano che i rischi di contagio siano contenuti il più rapidamente possibile, per evitare una crisi sistemica. È per questo che la maggior parte delle banche muore durante i fine settimana, proprio per consentire a governi, autorità di regolamentazione e banche centrali di trovare la soluzione giusta.
Siamo davvero così impotenti?
L’esame delle metriche creditizie (redditività, qualità degli attivi, indici di solvibilità e di liquidità) è insufficiente per valutare se una banca può sopportare il rischio di una corsa alla liquidità. Non fraintendetemi, questi parametri sono importanti, perché la radice di un crollo può sempre essere ricondotta a una cattiva governance aziendale, che porta a problemi di bilancio e/o a controversie. Tuttavia, la salute di un sistema bancario è troppo legata alla politica in generale e alla politica monetaria per permettere agli investitori di affidarsi esclusivamente ai dati trimestrali forniti dagli istituti finanziari.
Gli investitori e gli analisti non sono però impotenti. Andare oltre le metriche finanziarie è necessario, poiché le fughe dai depositi nascono dalla sfiducia, che deriva da un problema di governance aziendale. L’analisi di questi aspetti richiede tempo e fatica, per cui le scelte sono due: attenersi a “nomi di buona qualità” o sfidare la sorte per cercare di ottenere rendimenti più elevati, ma con il rischio di perdere qualcosa, o tutto, se non si è abbastanza prudenti.