Mercati: correlazioni sotto i riflettori

Dati Usa importanti in uscita oggi: la variazione degli occupati (460mila attesi contro 235mila di agosto) e il tasso di disoccupazione la cui attesa (5,1% contro il 5,2% di agosto), molto vicino al tasso naturale, stimabile intorno al 5%. Se le attese dovessero essere confermate, sarebbero ovviamente due buone notizie per l’economia in generale. Del resto, l’amministrazione pubblica e la FED hanno lavorato per tornare alla piena occupazione già a partire dal 2022.

La domanda è se, una volta raggiunto l’obiettivo, la relazione inversa tra salari monetari e inflazione (la curva di Phillips) possa riprendere a funzionare. Secondo la Yellen no. Ha più volte ribadito di non aspettarsi un aumento stabile dell’inflazione e di conseguenza un duraturo rialzo dei rendimenti. Del resto, ha aggiunto, prima della pandemia il tasso di disoccupazione era prossimo al 3,5% e non si osservavano spinte inflazionistiche.

Tutto vero, ma la storia non si ripete mai esattamene allo stesso modo. In realtà, osserviamo un l’aumento delle retribuzioni Usa nell’ultimo anno, calcolato utilizzando la parità del potere d’acquisto che tiene conto anche del costo della vita, è cresciuto del 4,5% (in Italia è sceso del 5,9%). Da non sottovalutare inoltre che il tasso di partecipazione al mercato del lavoro è sceso costantemente negli ultimi 20 anni passando dal 67,3% del 2000 al 61,6%. Minore offerta di lavoro e domanda delle imprese crescente propendono per un aumento dei salari. L’aumento del costo del lavoro appare difficilmente comprimibile, soprattutto alla luce di un aumento generalizzato dei prezzi (fra tutti l’energia) che si mantiene intorno a livelli che non si vedevano dal 2008. La crescita dei prezzi attuale sembra sostenuta da un aumento dei costi (inflazione da costi) delle materie prime e del lavoro: l’aumento dei costi genera una crescita dei prezzi di vendita di beni e servizi che a loro volta influiscono sui costi di produzione di altri beni e servizi influenzandosi reciprocamente.

Da un punto di vista strettamente economico e tralasciando tutti squisitamente sociologici, la situazione economica pandemica e post pandemica, sembra avere alcune similitudini con quella bellica e post bellica, quando l’intera produzione di una nazione è indirizzata agli armamenti ed alle necessità della guerra più che all’offerta di merci di normale impiego e quando il richiamo alle armi porta ad una situazione di piena occupazione. Le differenze sono ovviamente abissali, anche se una sembra spiccare più delle altre. Diversamente dal periodo bellico dove si riteneva che la velocità di circolazione fosse quasi una costante, grazie al lavoro di Fisher, si è compreso che la velocità di circolazione della moneta non è più influenzata solo dalle dinamiche produttive e di consumo, ma anche da tassi di interesse e dall’inflazione. La velocità di circolazione diventa quindi una variabile cruciale da definire e da misurare, ma al tempo stessa difficoltosa da controllare e prevedere, quale effetto di correlazioni non più univoche e stabili (motivo questo per il quale le banche centrali monitorano costantemente i vari aggregati M2 e M3 allo scopo di prevederne movimenti). Diventa cruciale a questo fine il meccanismo di formazione della aspettative degli attori economici (fondamentale è il contributo di Thaler nella behavioral economy), perché sulla base di esse vengono poi effettuate le scelte di politica economica.

Altrettanto fondamentale è il meccanismo di formazione delle aspettative degli investitori che soggiace alle stesse dinamiche. Perché una buona parte degli investitori preferisce lasciare dormire il denaro sui conti correnti invece di investirlo ricavandone un rendimento? Ma questa è un’altra puntata.

A cura di Antonio Tognoli, Head of Research di Integrae Sim

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!