“Tanti i problemi, ma il 2019 dovrebbe chiudersi bene”

A cura di Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos Partners

Chissà se potremo dirlo anche fra 12 mesi, che l’anno si chiuderà bene. Fra un anno a quest’epoca mancheranno pochi giorni a elezioni americane che decideranno quanto diverso sarà il prossimo decennio non solo da quello che sta per finire, ma da tutta la storia del capitalismo del dopoguerra.

Da qui ad allora non mancheranno i colpi di scena lungo tutto l’arco della campagna elettorale. Il grande numero di candidati, il possibile aggiungersi strada facendo di altre figure (dalla Clinton a Michelle Obama, da Bloomberg a Iger a numerosi altri che ora studiano la situazione), la mancanza di una leadership chiara e indiscussa in campo democratico e il sempre possibile sopraggiungere di un candidato indipendente fanno prevedere per i prossimi mesi frequenti rivolgimenti. Basti pensare, solo nelle ultime settimane, al declino di Biden, all’emergere impetuoso di Buttigieg, al declino e poi al colpo di reni di Sanders o all’inasprirsi degli attacchi concentrici sulla Warren (si pensi il martellamento del clintoniano Larry Summers contro la sua annunciata rivoluzione fiscale e in particolare contro la patrimoniale).

Per ora, tuttavia, il mercato, immerso nel suo torpore artificiale, fatica a reagire a quello che gli passa sotto il naso ed è decisamente troppo chiedergli di misurarsi con quello che potrà accadere in un futuro che appare ancora lontano e difficile da decifrare. E d’altra parte nessuno, banche centrali o investitori istituzionali che siano, ha voglia di rovinare un anno all’insegna del rialzo e della tranquillità.

Si può perfino affermare che la reazione del mercato ai continui stimoli positivi offerti dalle banche centrali è stata composta e misurata. Si è evitato di fare coincidere i tagli della Fed (il prossimo sarà mercoledì) con nuovi massimi assoluti, forse per non mettere troppo in imbarazzo una banca centrale che non appare molto convinta di quello che fa e che resta comunque profondamente divisa.

Se la Fed, la settimana prossima, annuncerà la fine dei tagli al buio e il ritorno a una politica monetaria guidata dai dati (ovvero alla navigazione a vista), il mercato potrà inizialmente avere un moto di delusione, ma poi si sentirà libero di dare un giudizio complessivo su un 2019 che ha segnato il ritorno a politiche aggressivamente espansive e tornerà a festeggiare e a pregustare la firma, a fine novembre, dell’accordo tra Trump e Xi.

In un periodo in cui si ama ripetere che le politiche monetarie sono sempre meno efficaci giova ricordare che la svolta della Fed del dicembre scorso, quando terminò la normalizzazione dei tassi e fu ripristinata gradualmente la linea espansiva, ha già portato l’indice da 2400 a 3000 e i bond dal 3.25 a 1.75. I dubbi possono quindi essere legittimi sugli effetti decrescenti sull’economia reale, ma sugli asset finanziari la trasmissione degli impulsi monetari funziona ancora benissimo.

A sorreggere le Borse fino a fine anno (e oltre) e a dare la giustificazione per nuovi massimi sarà la tregua tra Stati Uniti e Cina, peraltro già in vigore da un mese. Così come il mercato ha in certi momenti enfatizzato troppo le conseguenze negative del conflitto, così è possibile che ora sconterà troppo una rifioritura dei commerci. Sarà però solo fra qualche mese che si andrà veramente a vedere se si sarà creato un gap tra attese e realtà. Nel frattempo le attese faranno premio e aiuteranno ad assorbire senza danni eventuali dati macro deludenti.

I quali dati macro, a ben vedere, non segnalano più un rallentamento uniforme e sincronizzato, ma cominciano a uscire contrastati, come è tipico delle fasi di svolta o, più realisticamente, di stabilizzazione. In America continuano a deludere la casa e l’auto, ma la produzione industriale nel suo complesso mostra qualche segno modesto di riaccelerazione. Anche in Europa c’è aria di stabilizzazione e, qua e là, perfino di riaccelerazione.

Quanto alla Brexit, il colpo di coda del parlamento ritarda la conclusione della vicenda, ma è difficile pensare che un accordo che tutti dicono di volere e che è già stato concordato con l’Europa venga tenuto bloccato molto a lungo.

Per tornare a quelli che una volta si chiamavano i fondamentali, gli utili stanno uscendo senza infamia e senza lode e non saranno di ostacolo a un rialzo di fine anno.

Va quindi tutto bene? Certamente no e basta pensare a quello che sta avvenendo in Sud America per vedere la carica di rabbia che cova anche dove meno la si aspettava e che erompe violenta, tumultuosa e improvvisa. In un momento in cui gli emergenti ritornano concettualmente di moda, i mercati non sembrano particolarmente scossi da queste vicende, ma è lecito pensare che la reazione delle elites sarà quella di accelerare ovunque possibile il processo di reflazione globale già iniziato da un anno.

E proprio la Grande Reflazione, probabilmente, sarà il motivo conduttore del prossimo decennio.

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