Azioni europee resilienti nonostante le tensioni commerciali globali

Le politiche commerciali promosse dall’amministrazione Trump tornano al centro dell’attenzione dei mercati finanziari, sollevando timori di una recessione a livello globale. Secondo Paul Doyle, responsabile azionario large cap Europa di Columbia Threadneedle Investments, l’escalation di dazi e le tensioni commerciali sono sì la scintilla delle recenti correzioni di mercato, ma dietro si celano dinamiche strutturali già da tempo in atto.

“Le divergenze nelle valutazioni, nelle politiche monetarie e fiscali, i segnali di rallentamento dell’economia statunitense e l’indebolimento della narrativa sull’intelligenza artificiale”, spiega Doyle, “sono tutti elementi che hanno creato un terreno fertile per la volatilità”.

Stati Uniti: consumi in calo e segnali di stagflazione

La tregua commerciale tra Washington e Pechino, con tariffe ridotte per 90 giorni, non basta a dissipare l’incertezza. Come osserva Doyle, “l’aliquota universale del 10% porta i dazi ai livelli più alti dagli anni Trenta”. Questo clima pesa su imprese e consumatori americani. Gli ultimi dati del sondaggio dell’Università del Michigan segnalano aspettative d’inflazione all’1 anno del 5% e al 6-10 anni del 4%, livelli poco rassicuranti per la Fed.

Doyle sottolinea che i consumi privati, responsabili dell’80% della crescita USA dal 2020, stanno rallentando, dopo l’impennata delle importazioni post-pandemia. Il modello GDPNow della Fed di Atlanta per il primo trimestre 2025 mostra una crescita piatta, mentre la fiducia dei consumatori è in declino. “L’incertezza sui dazi e la correzione azionaria difficilmente risolleveranno il sentiment, aumentando il rischio di stagflazione”, osserva.

Anche il mondo delle imprese appare prudente. “Solo il 13% delle piccole imprese prevede di aumentare la spesa in conto capitale”, riferisce Doyle, richiamando i dati della National Federation of Independent Business.

Tassi, deficit e valutazioni elevate

Con una recessione che incombe, la Fed si trova in una situazione complessa: “I rendimenti obbligazionari tendono a scendere durante le recessioni, ma l’inflazione ancora presente rende più difficile allentare la politica monetaria”. Gli investitori esteri detengono il 30% dei Treasury USA, ma secondo Doyle “i dazi li rendono diffidenti”.

A peggiorare lo scenario, un deficit di bilancio cronico. “Nonostante la piena occupazione, il deficit si aggira tra il 6% e il 7% del PIL. Per stabilizzare il rapporto debito/PIL dovrebbe scendere al 3%, ma è uno scenario poco probabile”, aggiunge Doyle. Il rischio? Che una recessione aggravi ulteriormente il disavanzo.

Sul fronte azionario, gli Stati Uniti presentano valutazioni elevate: “Il rapporto prezzo/utili è di 20 volte, il che presuppone una crescita degli utili a doppia cifra. Durante la pandemia il P/E era sceso a 13,5 e sotto 9 durante la crisi finanziaria globale”, ricorda Doyle. Un’eventuale recessione potrebbe quindi causare una forte contrazione degli utili.

Europa: penalizzata dai dazi, ma con margini di manovra

Il vecchio continente non è immune agli effetti della guerra commerciale. Doyle rileva che “le aziende europee, frenate da ostacoli alle operazioni di fusione e acquisizione, hanno perso terreno rispetto a quelle statunitensi”. Se nel 2010 le M&A europee superavano quelle USA, oggi sono inferiori del 25 per cento.

Anche i dazi diretti e indiretti pesano. “I dazi USA sui beni europei, pur dimezzati, restano nove volte superiori ai livelli di inizio anno. Le esportazioni di auto continuano a subire una tassa del 25%, mentre i dazi contro la Cina costringono Pechino a riversare sul mercato europeo beni a prezzi ribassati, creando pressioni deflazionistiche”, spiega Doyle.

L’apprezzamento dell’euro – +10% da dicembre sul dollaro – e le condizioni finanziarie più rigide aggravano il quadro. Tuttavia, l’Europa ha strumenti per rafforzare la sua posizione: “Serve una maggiore integrazione del mercato unico, abbattimento delle barriere non doganali e un approfondimento dei legami commerciali con Regno Unito e Svizzera”, suggerisce Doyle.

Instabilità diffusa, outlook incerto

Il messaggio di Paul Doyle è chiaro: la guerra commerciale è uno shock esterno che ha colpito un’economia già vulnerabile, e rischia di innescare una recessione con caratteristiche diverse da quelle del passato. “Sebbene non ci siano squilibri nel settore privato paragonabili a quelli del 2008, il settore pubblico presenta fragilità strutturali e margini di manovra limitati”, conclude Doyle.

Il quadro globale resta fragile, con gli Stati Uniti stretti tra inflazione e rallentamento, e l’Europa alla ricerca di una strategia autonoma in un contesto sempre più frammentato. L’unica certezza, per ora, è l’incertezza.

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