Dazi e incertezza: l’azionario europeo alla prova di Trump

La nuova offensiva commerciale di Donald Trump scuote nuovamente i rapporti tra Stati Uniti ed Europa. In una lettera indirizzata a “Sua Eccellenza Ursula von der Leyen”, il tycoon ha annunciato l’introduzione di dazi al 30% sulle esportazioni europee a partire dal 1° agosto, con toni tutt’altro che concilianti. Nella missiva, il presidente americano avverte: “Se per qualsiasi motivo decidete di aumentare le vostre tariffe e di reagire, l’importo, qualunque sia l’aumento scelto, verrà aggiunto al 30% che applichiamo”.

Secondo Carlo Benetti, Market Specialist di GAM, “il testo della lettera è molto simile a quello delle lettere spedite ai governi di altri paesi partner, la diplomazia economica è stata ridotta a moduli pre-stampati in cui la casella da riempire è quella della misura tariffaria”. Un approccio burocratizzato e standardizzato che, più che rassicurare, alimenta incertezza.

Eppure, sui mercati qualcosa è cambiato. “Dopo oltre ‘novanta dì, novanta nott’ di annunci, aggiustamenti, proroghe, i mercati si sono mitridatizzati”, osserva Benetti, “non sembrano più disposti a credere al valore facciale degli annunci”. Le continue retromarce e modifiche degli ultimi mesi hanno trasformato la percezione degli operatori, che ora vedono in queste minacce più una tattica negoziale che una reale intenzione esecutiva.

Tuttavia, il rischio non è da sottovalutare. “La compiacenza è rischiosa”, avverte l’esperto. “È possibile che anche questa volta le tariffe siano scritte sulla sabbia, ma è altrettanto possibile che Trump voglia fare sul serio, voglia togliersi di dosso l’infamante acronimo TACO coniato dal Financial Times (Trump Always Chickens Out) e voglia dimostrare al mondo la sua determinazione”.

Con Wall Street ai massimi storici, un brusco cambiamento di rotta sui dazi potrebbe colpire i mercati con la forza di uno shock, facendo pagare in poche sedute quello che oggi sembra ignorato. Lo scenario, dunque, resta sospeso tra negoziati diplomatici e tentazioni muscolari.

Benetti sottolinea che “la partita tra gli Stati Uniti e il resto del mondo non è economica ma eminentemente politica”. L’Unione Europea si trova a dover interagire con una nuova configurazione ideologica statunitense, quella dell’“Heritage Foundation e del Project 2025”, per cui Trump rappresenta solo “l’epifenomeno di un fenomeno più profondo e radicato: la trasformazione isolazionista e fondamentalista degli Stati Uniti”.

Di fronte a questo scenario, l’Europa è chiamata a rispondere su tre fronti: geopolitico, economico e democratico. In primo luogo, sarà necessario “calibrare le risposte economiche con l’assetto politico globale”, vista la crescente commistione tra sicurezza e interessi economici. In secondo luogo, servirà tempo prima che si vedano i frutti del nuovo piano di investimenti tedesco. Infine, resta aperta la questione della tenuta democratica, con la crescente influenza di forze antiliberali in Europa, apertamente sostenute sia da Mosca che da Washington.

Sul fronte dei mercati, Benetti invita a non perdere di vista le opportunità. “Dopo anni di performance altalenanti, il mercato azionario europeo torna ad essere un luogo interessante”, afferma. “Offre opportunità tattiche e strategiche, nonostante l’avversione al rischio alimentata dai dazi”. Se da un lato i settori bancari ed export-oriented soffrono, dall’altro “energia e materie prime mostrano una relativa forza”.

Le valutazioni, inoltre, sono favorevoli: “Il listino europeo conserva valutazioni interessanti rispetto a quello americano. Il differenziale di P/E è particolarmente evidente nei settori bancario, energetico e industriale”. E con una BCE sempre più vicina a tagli dei tassi e l’inflazione in discesa, “le politiche monetarie meno restrittive possono rappresentare un catalizzatore per i mercati azionari”.

Infine, gli investimenti legati al Green Deal e alla transizione energetica aprono prospettive nei settori rinnovabili, infrastrutture e tecnologia industriale. Ma, conclude Benetti, “come sempre, l’approccio efficace resta quello selettivo e diversificato: privilegiare società con fondamentali solidi, esposizione internazionale e strategie di crescita sostenibile”.

In un mondo che cambia rapidamente, l’abilità di distinguere tra tattica e strategia, tra rumore e segnali, sarà cruciale. E l’Europa, economisti e investitori compresi, non può permettersi di sbagliare la lettura.

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