Qualche mese fa s’era parlato di una possibile fusione tra Assoreti, l’associazione delle banche-reti di consulenza finanziaria che proprio quest’anno festeggia i 40 anni della sua fondazione, con l’Associazione Italiana Private Banking (Aipb). Il tema era stato posto “ex abrupto” e sollevò numerose critiche soprattutto da parte di alcuni qualificati membri di Aipb. Ma anche alla luce del recente (e tuttora in corso) “risiko” bancario, vale la pena riproporre il tema “sine ire et studio”, come dicevano i latini. Partiamo da un presupposto: l’Europa decide. E il settore della consulenza resta diviso. In un momento storico in cui le grandi decisioni sulla regolamentazione finanziaria si giocano sempre più a Bruxelles, il settore italiano della consulenza agli investimenti si presenta ai nastri di partenza con due rappresentanze e una grande occasione mancata: quella di parlare con una sola voce. Eppure, sul campo, la distinzione tra grandi network e banche private è ormai sempre meno marcata. Un soggetto associativo unico non rappresenterebbe solo un vantaggio competitivo: sarebbe un cambio di paradigma. Superare i limiti ereditati da due “culture” ancora divise, ma sempre più contigue, significherebbe offrire ai propri associati un servizio più efficace. Naturalmente, l’operazione non è semplice. Ma ogni fusione, se ben costruita, è una riscrittura, non una cancellazione. Servono nuove regole, una governance aperta, uno statuto che riconosca le differenze come valore e non come ostacolo. Oggi, la frammentazione rappresentativa non è più solo una questione interna. È un limite strategico. Perché, nelle sedi dove si decidono davvero le regole del gioco, la forza di un settore si misura anche, e soprattutto, dalla compattezza con cui sa presentarsi. Resta ora da vedere se, accanto al valore dell’idea, ci saranno anche le persone disposte a sostenerla e a metterla in pratica.