Deutsche Bank, CoCo bond e banche Usa sotto la lente de La Française AM

Dopo il crollo di 15,8 miliardi di franchi svizzeri di AT1 CoCos del Credit Suisse domenica 19 marzo 2023, che rappresentavano circa il 6,2% dell’universo alla fine del 2022 (indice ICE BofaML CoCo), molte voci si sono affrettate a sostenere che gli AT1 CoCos erano “morti” e che il segmento era diventato “non investibile”. In questo scenario ecco di seguito la view di Jérémie Boudinet, Head of Investment Grade Credit presso La Française AM.

La perdita di “gerarchia tra i creditori” non sarebbe potuta avvenire in Europa o nel Regno Unito.

La gestione dell’acquisizione del Credit Suisse da parte di UBS è stata particolarmente complicata, in quanto la FINMA e il governo svizzero hanno dovuto modificare la legge durante il week end affinché i CoCo AT1 potessero essere azzerati in modo permanente senza però dover azzerare anche il capitale di rischio. Si è trattato di una violazione della cosiddetta “gerarchia dei creditori”, utilizzata per giustificare l’inaffidabilità dei prospetti o dei regolamenti delle obbligazioni AT1 CoCo.

Il braccio normativo della BCE, insieme alla Banca d’Inghilterra e alle autorità di regolamentazione di Singapore, Canada e Hong Kong hanno diffuso dichiarazioni in cui ricordavano agli investitori che un caso simile sarebbe stato gestito in modo diverso. La BCE ha dichiarato esplicitamente che “gli strumenti di common equity sono i primi ad assorbire le perdite e solo dopo il loro pieno utilizzo si richiederebbe la svalutazione del Tier 1 aggiuntivo. Questo approccio, utilizzato in casi passata, continuerà a guidare le azioni della SRB e della vigilanza bancaria della BCE negli interventi di crisi. Il Tier 1 aggiuntivo è e rimarrà una componente importante della struttura patrimoniale delle banche europee”.

I CoCos AT1 sono ancora necessary alle banche

Il capitale AT1 è un requisito necessario per il capitale regolamentare delle banche di tutto il mondo. In Europa e nel Regno Unito, il capitale AT1 è un valore compreso tra l’1,5% e il 2,5% delle attività ponderate per il rischio di una banca.

Se le banche dovessero essere obbligate dai regolatori o dagli investitori a rinunciare a questa riserva di capitale, dovrebbero sostituirla con azioni ordinarie, il cui costo del capitale è attualmente stimato intorno al 15-16%. Non si tratterebbe di una sostituzione efficiente, né efficace dal punto di vista dei costi.

Il formato AT1 CoCo potrebbe evolversi in futuro, poiché il livello di complessità del “CoCo” è reso superfluo dal fatto che le autorità possono dichiarare una banca “non vitale” per attivare la svalutazione di questi strumenti o la loro teorica conversione in azioni.

Gli investitori in CoCo AT1 non scompariranno

“Gli investitori non torneranno mai su questa asset class o su questo emittente dopo un evento del genere!”. Lo abbiamo sentito dire diverse volte sui mercati obbligazionari: dopo la ristrutturazione del debito della Grecia nel 2012, dopo la disparità di trattamento degli obbligazionisti del Banco Espirito Santo nel 2015, dopo la nazionalizzazione di Banca Monte dei Paschi di Siena nel 2016…

Certo, il crollo degli AT1 del Credit Suisse è stato un evento significativo per il mercato degli AT1, ma non a nostro avviso non ci sono motivi perché gli investitori sarebbero disposti ad abbandonare del tutto l’interesse sugli AT1 di altre banche, i cui fondamentali non erano neanche lontanamente paragonabili a quelli del Credit Suisse. Gli acquirenti di AT1 sono (o almeno dovrebbero essere) consapevoli del fatto che questi strumenti possono andare in default senza alcuna speranza di recupero se la banca emittente è considerata non più sostenibile. La storia ci ricorda che i default si verificano raramente, ma quando si verificano, arrivano all’improvviso e con forza. Il Banco Popular Español è stato un caso simile nel 2017, anche se su una scala molto più piccola.

I rendimenti degli AT1 sono esplosi, in quanto la maggior parte delle obbligazioni è ora scambiata sotto il livello di pareggio e non è più prezzata su base call. Il rendimento medio dei titoli AT1 in euro è attualmente del 16,3%, con un’ampia convessità a fronte di un rendimento medio a scadenza dell’8,6% (indice al 24/03/23). Questo tipo di rendimento può attirare gli investitori, lo fa e continuerà a farlo. Anche se si ipotizza che nessuna obbligazione sarà mai richiamata perché nessuna banca può più emettere nuove obbligazioni, le cedole di reset risulterebbero comunque in media abbastanza interessanti (si veda il grafico qui sotto a destra) e potrebbero attrarre gli investitori. Anche se alcuni di loro potrebbero abbandonare lo strumento per un po’ di tempo o in modo permanente, non vediamo il rischio di una riduzione consistente della base di investitori come un pericolo per l’asset class. Si può ricordare che qualche anno fa i CoCos non erano così ampiamente scambiati come oggi, ma questo non ha mai impedito loro di registrare performance dignitose nel tempo.

Le ipotesi di call si sono logicamente ridotte in larga misura e Deutsche Pfandbriefbank ha annunciato pochi giorni fa che non eserciterà la sua opzione di call per l’unica obbligazione AT1 il prossimo aprile 2023. A nostro avviso, è lecito aspettarsi altre non-call, come successo nel 2020 durante il picco di stress del mercato da Covid-19 o alla fine del 2022. Questi eventi sono diventati sempre più comuni e non sono di per sé dirompenti, dal momento che i detentori riprezzano le obbligazioni ogni giorno in base a quella che ritengono essere la loro probabilità di call.

Deutsche Bank sarà il prossimo tassello del domino a cadere?

No, non del tutto, a nostro avviso

Una mossa dettata dal panico per una banca che gode ancora di una cattiva reputazione.

Il movimento di prezzo a cui abbiamo assistito sulle azioni, sui contratti CDS e sulle obbligazioni di Deutsche Bank non è stato generato da un vero e proprio fattore catalizzatore. Non c’erano assolutamente notizie in merito e sembra che gli operatori di mercato e i commentatori stessero cercando di razionalizzare il crollo in Borsa mentre accadeva. Ma perché Deutsche Bank è stata così protagonista? Per il panico e per la reputazione che il suo nome ha ancora oggi.

La situazione di DB, tuttavia, non era lontanamente paragonabile a quella del Credit Suisse, che ha subito una perdita netta di 7,3 miliardi di franchi svizzeri nel 2022 e ha perso circa un terzo della sua base di investitori nel quarto trimestre del 2022, annunciando al contempo di aspettarsi un’altra perdita netta significativa per il 2023. Deutsche Bank, al contrario, ha annunciato un utile record per l’intero anno di 5,7 miliardi di euro, il livello più alto dal 2007, e gli analisti avevano previsto ottimi profitti per la banca tedesca anche nel 2023 (gli analisti azionari di Citi prevedono un utile ante imposte di 6,5 miliardi di euro nel 2023).

Deutsche Bank non è più la banca di una volta. Eppure, gli investitori obbligazionari la considerano un emittente “high beta”.

Questo è comprensibile, trattandosi di una banca sistemica globale con un passato travagliato, soprattutto quando all’inizio del 2016 la banca era scambiata a livelli distressed. Da allora, ha realizzato con successo una significativa ristrutturazione della divisione sia Corporate che Investment Banking e ha ridimensionato le sue esposizioni off-balance, risolvendo al contempo i suoi problemi di contenzioso e ripristinando le sue metriche di capitale e redditività.

Nonostante la banca abbia una certa esposizione agli immobili commerciali (CRE), non riteniamo questo un fattore particolarmente preoccupante. Il suo portafoglio CRE ammontava a 33 miliardi di euro a fine 2022, pari al 7% del portafoglio prestiti totale della banca. Il 51% delle esposizioni CRE è negli Stati Uniti, il 36% in Europa e il 13% in Asia. Il Loan-to-Value medio ponderato è di circa il 61% nella Investment Bank e del 53% nella Corporate Bank.

Il panico potrebbe diffondersi e innescare una crisi di liquidità per Deutsche Bank o altre banche europee?

Non crediamo accada. Riconosciamo che la velocità con cui sono cresciuti i depositi sia aumentata enormemente con l’avvento del mobile banking, ma non vediamo alcun motivo per cui Deutsche Bank o altre banche europee dovrebbero soffrire di una crisi di liquidità. I social media e alcuni giornali si sono infiammati con le grida di un imminente collasso del sistema bancario da parte di attori compromessi, ma questa non è la realtà. Le crisi di liquidità non si manifestano nelle banche senza una vera causa. SVB e Credit Suisse erano molto diverse tra loro, ma ognuna aveva i propri problemi, visibili nei bilanci e nei conti economici.

Una banca rischia il collasso se si verificano almeno due di questi fattori: (i) i depositari non hanno più fiducia nella banca e la abbandonano, (ii) non ha più accesso ai mercati interbancari, (iii) è coinvolta in controversie e scandali finanziari significative che richiedono un maggiore controllo normativo.

Al momento non vediamo segnali di questo tipo per le banche europee.

Ricordate l’agosto 2011? Il quotidiano britannico Daily Mail aveva pubblicato un articolo in cui si affermava che Société Générale versava in una situazione “pericolosa” ed era sull'”orlo del disastro”. Per diverse settimane i titoli dei giornali e le voci si sono susseguite e alcuni hanno persino affermato che la banca sarebbe stata presto nazionalizzata. E non è stata l’unica a essere colpita da titoli e movimenti di mercato estremi. Tuttavia, le affermazioni prive di un supporto razionale e fondamentale finiscono per essere prive di sostanza e si volatilizzano dopo pochi mesi.

Non stiamo dicendo che la volatilità dovrebbe rientrare presto e che le obbligazioni si riprenderanno, ma che i fondamentali di solito alla fine hanno sempre la meglio. Tre banche statunitensi e una svizzera sono “crollate” in due settimane e, a nostro avviso, altre potrebbero crollare negli Stati Uniti, ma ciò non significa che tutte le mele sono marce, e soprattutto non in Europa.

Tuttavia, ed è importante sottolinearlo ancora una volta, la volatilità dovrebbe continuare a influenzare i mercati obbligazionari per il momento.

Il panico del mercato è stato indotto dai problemi delle banche regionali statunitensi

Crisi di fiducia e fuga dai depositi

La vera ragione del “panico” che giorni fa si è scatenato sui titoli e sulle obbligazioni bancarie risiede, a nostro avviso, nei problemi che non si sono ancora attenuati nel sistema bancario regionale statunitense. Abbiamo già scritto del fallimento di SVB, Signature Bank e Silvergate due settimane fa e di come si sia esteso ad altre banche regionali, come First Republic Bank, Pacwest Bancorp e altre.

Le recenti azioni normative e private non sono riuscite a ripristinare la fiducia. L’amministrazione controllata di SVB e Signature Bank da parte della FDIC, con la garanzia totale di tutti i depositi (anche quelli non assicurati dalla FDIC), il nuovo programma di finanziamento a termine della Fed, l’iniezione di 30 miliardi di dollari di depositi da parte di un consorzio di grandi banche statunitensi nella First Republic Bank, sembrano non riuscire a convincere del tutto i depositari che necessitano di fidarsi degli istituti regionali più piccoli.

È impossibile determinare l’entità dei deflussi, ma sembra ovvio che il flusso costante di titoli preoccupanti non possa aiutare il sentiment dei depositari retail e degli investitori professionali. L’aumento del ricorso alle linee di liquidità da parte della Fed nelle ultime due settimane è stato al centro dell’attenzione degli osservatori di mercato giovedì sera, mentre la signora Yellen ha dichiarato di “aver usato strumenti importanti per agire rapidamente per prevenire il contagio. E sono strumenti che potremmo usare ancora. Le azioni forti che abbiamo intrapreso garantiscono che i depositi americani sono sicuri. Certamente, saremmo pronti a intraprendere ulteriori azioni se giustificate”. Queste ultime parole sono molto importanti. Ora la domanda è: quanto può essere grande? E che aspetto avrà?

Come abbiamo spiegato in precedenza, la mobilità dei depositi è aumentata enormemente e i depositari statunitensi hanno spostato la liquidità dalle banche per investirli in fondi del mercato monetario del Tesoro, che offrono rendimenti più elevati. È impossibile valutare la funzione di reazione delle banche più piccole nel trattenere i depositi offrendo rendimenti più elevati, a scapito dei propri margini di interesse netti. Sembra però che non tutte abbiano le carte in regola per competere in un contest simile.

Le banche regionali statunitensi non hanno un peso rilevante sui mercati obbligazionari (solo l’1,6% del mercato investment grade in dollari, vedi grafico sotto), ma sono certamente molto importanti per l’economia statunitense. Pertanto, la loro situazione deve essere affrontata e risolta in modo adeguato per infondere un senso di fiducia nei mercati finanziari.

Come possiamo ristabilire la fiducia?

La crisi di liquidità delle banche regionali statunitensi non può concludersi senza garantire che le banche più piccole siano gestite in modo adeguato. L’eccessiva deregolamentazione e l’insufficiente supervisione negli Stati Uniti hanno portato alla scomparsa di SVB e Signature Bank, evidenziando problemi più ampi delle banche regionali e portando all’attuale fase di stress dei mercati finanziari. Come abbiamo spiegato più volte nel corso delle settimane passate: Come si puà avere fiducia in un sistema in cui le banche con un attivo inferiore a 250 miliardi di dollari possono gestire il proprio bilancio con quello che sembra una mancanza totale di incompetenza (SVB ha a malapena adottato una politica di copertura dei tassi d’interesse nel 2022 e ha trascorso la maggior parte dell’anno senza un Chief Risk Officer) senza far scattare alcun allarme da parte delle autorità di vigilanza?

Che cosa servirebbe per calmare l’attuale crisi di liquidità delle banche regionali Usa?

  • Maggiore regolamentazione e controllo: tutte le banche con un attivo superiore a 50 miliardi di dollari dovrebbero essere soggette a coefficienti di liquidità, stress test e regole TLAC (Total Loss Absorbing Capacity).
  • Maggiore consolidamento: attraverso acquisizioni private da parte di banche più grandi o attraverso l’amministrazione della FDIC;
  • Potenzialmente una maggiore potenza di fuoco da parte della Fed e del governo: una garanzia FDIC completa di tutti i depositi sembra difficile da ottenere su base ampia, ma potrebbe essere una buona soluzione, un sostegno per gli asset CRE (tramite agenzie o la Fed?)…
  • Le grandi banche statunitensi in pericolo: un sostegno più globale rispetto alla semplice iniezione di depositi in FRC. Come promemoria, consideriamo le principali banche statunitensi come beneficiarie dell’attuale crisi, in quanto dovrebbero guadagnare depositi da questa “fuga verso la qualità” dei flussi di denaro.

In un’ottica di più lungo periodo, riteniamo che dovrebbe essere prevista anche una revisione dei coefficienti di liquidità di Basilea III, in quanto il Liquidity Coverage Ratio può non riflettere la velocità dei deflussi di depositi. Vale la pena ricordare che tra i circa 5.000 istituti di credito statunitensi, solo 14 sono tenuti a pubblicare e rispettare un Liquidity Coverage Ratio. Mentre quasi tutte le banche europee devono rispettare questo standard di liquidità…

Sembra che, per una volta, le autorità di regolamentazione statunitensi vogliano seguire la strada degli europei, imponendo al loro sistema bancario gli stessi standard del nostro. Questo serve a dimostrare che la deregolamentazione bancaria non è e non sarà mai una buona scelta. Gli obbligazionisti bancari hanno bisogno di stabilità, che può essere raggiunta solo con standard normativi aggiornati (necessari per le banche statunitensi) e quadri di risoluzione precisi (necessari per le banche svizzere).

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