Il coronavirus cambierà il nostro modo di lavorare?

Consumi fuori casa soffrono coronavirus

Mentre a Piazza Affari le società legate agli acquisti fuori casa, da Autogrill a Ovs, da Campari a Marr, sono travolte da vendite da panico in seguito all’aumentare del numero dei casi di contagio da coronavirus Covid-19 accertati in Italia, in tutto il mondo si sta valutando la prospettiva di una riorganizzazione dei modelli di lavoro.

Telelavoro soluzione per contenere il contagio

Il telelavoro è infatti visto come una delle possibili misure di contenimento di malattie virali, tanto che ha deciso di farvi temporaneamente ricorso anche la Banca d’Italia nel caso dei dipendenti che “possono trovarsi a rientrare da periodi di ferie in Paesi limitrofi alla Cina (Thailandia, Vietnam, Cambogia e Singapore)”.

Banca d’Italia è pronta a farvi ricorso

Visto che “questo può creare preoccupazione tra i colleghi”, avrebbe fatto sapere nei giorni scorsi Via Nazionale con una mail del dipartimento Risorse Umane resa poi nota dalle agenzie di stampa italiane, “i capi dei servizi possono concordare l’opportunità di utilizzare il lavoro delocalizzato per un periodo continuativo di 20 giorni”. Eventuali altre soluzioni in via cautelativa saranno invece concordate con le autorità nazionali. Altro tema dibattuto è se il ricorso allo “smart working” ossia al “lavoro agile” uscirà rafforzato strutturalmente da questa vicenda.

Meno di 600 mila lavoratori agili in Italia

Secondo i dati dell’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano nel 2019 erano 570mila i “lavoratori agili” in Italia, cifra che registrava un incremento del 20% rispetto all’anno precedente. Secondo i dati Eurostat, peraltro, l’Italia resta ampiamente sotto la media europea per ricorso allo smart working, complice una forte resistenza culturale al cambiamento legata a 200 anni di industrializzazione che ha abituato la maggior parte delle persone a pensare al lavoro come a un’attività da svolgere fuori casa.

De Masi: molti lavori possono essere svolti da remoto

“L’andirivieni tra casa e lavoro si è così insediato nella nostra mentalità e persiste tuttora, anche se viviamo in un’epoca in cui la maggior parte dei lavori potrebbe facilmente essere svolta da remoto” ricordava pochi giorni fa in un’intervista al Huffingtonpost il sociologo Domenico Masi. Chissà se l’Italia riuscirà a sfruttare quello che l’agenzia Bloomberg ha definito il “più grande esperimento di telelavoro al mondo” per chiudere il gap col resto del mondo (in Olanda il 40% dei lavoratori è coinvolto in forme di telelavoro, in Italia circa il 3%).

Necessario un cambio di mentalità per chiudere il gap

In fondo circa i due terzi dei lavoratori italiani svolgono mansioni dipendenti manipolando informazioni che potrebbero essere trasferite a costo zero senza necessità di recarsi in un luogo fisico diverso dalla propria abitazione, semplicemente facendo ricorso al telefono o a internet. Si tratterebbe tuttavia di trasferire il focus dell’organizzazione aziendale dal controllo delle persone e dei processi, cui tuttora appaiono attaccati molti imprenditori e manager, a quello dei risultati. Sarà la volta buona?

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