Azionario Usa: tre settori per un portafoglio a prova di Trump 2.0

“Nonostante per alcuni investitori il numero di notizie viste nelle prime sei settimane del 2025 possa sembrare quello che solitamente si vede in un anno, occorre guardare in prospettiva agli attuali fattori macroeconomici, politici e di mercato. Questo consente di comprendere che i due temi principali che hanno dominato gli ultimi tre anni – l’inflazione persistente e i tassi più alti più a lungo – sono in realtà ancora presenti e gli investitori possono quindi continuare a cercare opportunità che beneficino di queste condizioni, considerando anche allocazioni che si sono rivelate positive l’ultima volta che a dominare la scena sono state le guerre commerciali e le politiche pro crescita, come la deregolamentazione e i tagli alle imposte sulle società”. A farlo notare è Saira Malik, Head of Equity and Fixed Income, Chief Investment Officer di Nuveen, che di seguito spiega nei particolari la view.

Mentre si susseguono gli annunci sui dazi e i previsti tagli fiscali con Trump 2.0, gli investitori possono trarre alcune lezioni esaminando i risultati di tali politiche durante il primo mandato di Trump: “Nel 2018 – rileva Malik – l’abbassamento dell’aliquota dell’imposta sulle società dal 35% al 21% ha portato a una crescita dei profitti del +21%, la più forte dal 2010. D’altro canto, la spesa dei consumatori ha subito un rallentamento nel 2018 e gli effetti di una guerra commerciale hanno portato a una diminuzione dei ricavi delle multinazionali. Il risultato? Le azioni statunitensi hanno sovraperformato le controparti non statunitensi sia nei mercati sviluppati che in quelli emergenti. Infatti, i solidi utili hanno spinto l’indice S&P 500 a toccare i massimi storici 19 volte nel 2018”.

La situazione all’inizio del 2025 presenta alcune somiglianze: “L’incertezza commerciale è aumentata, anche se i potenziali cambiamenti fiscali probabilmente non saranno approvati fino al 2026 e nel complesso, riteniamo che le azioni statunitensi continueranno a sovraperformare nel medio termine – afferma l’esperta di Nuveen – Detto questo, abbiamo recentemente assistito a picchi di volatilità nei mercati statunitensi a causa delle tensioni commerciali, dell’incertezza sugli utili delle aziende tecnologiche, dell’intelligenza artificiale (IA) e di una lunga pausa nei tagli dei tassi della Fed. In effetti, i mercati azionari europei stanno registrando risultati migliori rispetto a quelli statunitensi da inizio anno, in gran parte a causa della loro ridotta esposizione al settore tecnologico. Alla luce di ciò, nell’azionario statunitense favoriamo le società dividend growers e le infrastrutture quotate”.

“Le società dividend growth sono sostenute da fondamentali solidi, un potenziale di crescita sostenibile, bilanci sani e ampi free cash flow – continua Malik – La loro combinazione di flessibilità del capitale, solidità del bilancio e aumento dei pagamenti dei dividendi potrebbe aiutarle a mitigare le potenziali pressioni inflazionistiche sui costi dei fattori produttivi”.

“I titoli del settore delle infrastrutture beneficiano della domanda anelastica per i servizi e le operazioni fornite da queste società, questo è sempre stato uno strumento di protezione efficace contro l’inflazione, grazie a clausole di adeguamento all’inflazione inserite nei contratti sottostanti – aggiunge l’esperta di Nuveen – L’emergere e l’evoluzione dell’intelligenza artificiale generativa e la conseguente necessità di data center ha creato opportunità significative per le infrastrutture energetiche. Inoltre, l’accelerazione delle spese in conto capitale per la produzione di energia attraverso risorse rinnovabili, gas ed energia nucleare, insieme all’ammodernamento delle reti elettriche – tutte misure necessarie per soddisfare una crescita senza precedenti della domanda – caratterizzeranno il futuro scenario energetico statunitense”.

“I dazi statunitensi rischiano di avere un impatto maggiore sulle aziende Usa che hanno entrate significative grazie alla domanda non statunitense, che solitamente sono large cap. Ad esempio, abbiamo esaminato le aziende le cui entrate dai Paesi al di fuori degli USA dichiarate rappresentavano più della metà delle entrate totali nell’ultimo anno fiscale. Di queste, il 37% erano large cap, rispetto al 25% delle small cap. Infine, continua il focus sulle small cap sulla base delle valutazioni. Queste rimangono meno costose rispetto alle large cap e al mercato più ampio, mentre la crescita degli utili delle small cap dovrebbe superare quella delle large cap nel 2025″, conclude Malik.

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