Risparmio e dividendi: tutto sul nuovo regime fiscale

A cura di Domenico Ponticelli, partner di PedersoliGattai

La bozza di Legge di Bilancio 2026 ricalibra il regime domestico dei dividendi in chiave selettiva. L’esclusione ai fini delle imposte sul reddito opera soltanto se la partecipazione diretta nella società erogante è almeno pari al 10 per cento, includendo le detenzioni indirette tramite società controllate con demoltiplicazione lungo la catena societaria. La decorrenza è agganciata alla delibera di distribuzione adottata dal 1° gennaio 2026; gli acconti del primo esercizio successivo al 31 dicembre 2025 si calcolano già secondo le nuove regole. La misura è generale e non settoriale e segna un cambio di paradigma: dalla neutralità intragruppo, presidiata in passato da un’esclusione ampia con residuo imponibile forfettario, a un’esclusione concessa solo al ricorrere della “significatività” dell’investimento.

Sotto il profilo tecnico emergono tre tratti distintivi. Il primo è la logica binaria del “dentro o fuori”: i dividendi che non superano la soglia sono integralmente imponibili nelle fattispecie riformate, con un effetto di discontinuità e maggiore variabilità del carico fiscale in funzione della composizione delle partecipazioni. Il secondo è il meccanismo di look-through ancorato al controllo civilistico (art. 2359 c.c.). La norma consente di considerare anche le partecipazioni indirette, calcolate mediante “demoltiplicazione” delle quote possedute lungo catene di controllo, ma solo quando ciascun anello intermedio è integralmente controllato ai sensi dell’art. 2359, n. 1. In mancanza di un controllo pieno, la catena si interrompe e la partecipazione non rileva ai fini della soglia del 10%, con effetti potenzialmente discriminatori per strutture partecipative non lineari o condivise. Il terzo è lo spostamento del baricentro dalla “sostanza economica” alla “dimensione percentuale”: patti parasociali, diritti economici non proporzionali, azioni a voto plurimo o categorie speciali possono produrre esiti fiscali non perfettamente allineati alla reale incidenza dell’investimento.

La scelta si colloca in un punto di intersezione delicato tra politica fiscale, sviluppo dei capitali e assetti industriali. Una soglia al 10 per cento privilegia modelli fondati su partecipazioni “rilevanti”, ma penalizza i portafogli minoritari tipici di family office, venture capital, corporate venture e alleanze industriali, dove quote inferiori alla soglia sono fisiologiche per diversificare il rischio e sostenere l’innovazione. L’eliminazione dell’esclusione per le partecipazioni minori accentua la disparità fiscale tra capitale di rischio e capitale di debito, rendendo l’equity strutturalmente meno competitivo e in controtendenza rispetto agli obiettivi dell’Unione dei mercati dei capitali. Se la soglia percentuale ha una logica nell’ambito madre-figlia per i flussi transfrontalieri, estenderla ai dividendi domestici capovolge la tradizionale impostazione italiana di mitigazione della doppia imposizione “interna” lungo la filiera, cardine storico della dividend exemption italiana intesa come esclusione parziale dei dividendi dalla base imponibile.

Vale ricordare il precedente equilibrio sistematico. Il principio era quello dell’unicità dell’imposizione: l’utile tassato a monte presso la società produttrice restava tendenzialmente neutro nelle successive distribuzioni ai soci. La residua imponibilità del 5 per cento non mirava a colpire il dividendo come tale, ma a riflettere in modo forfettario costi di gestione delle partecipazioni ritenuti indeducibili, preservando la simmetria tra ricavi “esclusi” e costi (art. 109, comma 5, TUIR). Il nuovo impianto rovescia questa logica: l’esclusione diventa un’eccezione subordinata alla misura percentuale dell’investimento; sottosoglia, l’utile distribuito torna pienamente imponibile (con una doppia imposizione economica), introducendo una distinzione strutturale fra capitale “strategico” e capitale “di portafoglio”.

Gli impatti operativi sono particolarmente sensibili nelle catene multi-societarie. Ne discende un incentivo a riassetti – fusioni, conferimenti, concentrazioni di partecipazioni – motivati più dallo scalino fiscale che da ragioni industriali, con costi organizzativi, presidi antielusivi da rafforzare e possibili distorsioni allocative. Gli esempi sono intuitivi: holding con più partecipazioni minoritarie sottosoglia che si vedono tassare i dividendi periodici; programmi di corporate venture che, in presenza di partecipazioni di modesta entità, potrebbero essere indotti a privilegiare strumenti finanziari ibridi o di debito, fiscalmente più efficienti rispetto all’investimento diretto in capitale di rischio o a trasformare i ritorni periodici in plusvalenze di exit; gruppi industriali e finanziari che, per vincoli di capitale o di vigilanza, mantengono partecipazioni strategiche prossime alla soglia e si espongono a un “cliff effect” nell’intorno immediato del 10 per cento, dove scostamenti minimi – anche di pochi decimi di punto – comportano il passaggio da piena tassazione a quasi totale esclusione, con effetti di volatilità fiscale e di incertezza nella pianificazione dei risultati. Tale disparità peraltro potrebbe essere censurabile anche sotto il profilo della legittimità costituzionale della norma.

C’è anche un profilo di coerenza ordinamentale. Laddove il sistema precedente perseguiva la neutralità fiscale e la parità di trattamento dei flussi infragruppo, la nuova regola introduce un criterio selettivo che privilegia la dimensione quantitativa rispetto alla funzione economica dell’investimento. Non è la presenza di una soglia in sé a porre problemi di coerenza – soglie minime sono previste anche in altri ordinamenti – ma la sua entità e l’assenza di un meccanismo che ne attenui gli effetti, fattori che accentuano la discontinuità e possono generare asimmetrie tra operatori con pari capacità economica ma diversa struttura societaria, mettendo alla prova i principi di uniformità e neutralità del prelievo.

Nel panorama europeo, il confronto con i regimi omologhi aiuta a misurare la portata della scelta italiana. In Francia, il régime mère-fille prevede esenzione pressoché totale con add-back del 5 per cento a titolo di spese e oneri, soglia al 5 per cento e holding period biennale: una combinazione che preserva la simmetria senza produrre effetti soglia marcati. In Spagna, l’esenzione è al 95 per cento con soglia al 5 per cento e detenzione minima di dodici mesi, replicando l’add-back del 5 per cento e archiviando in gran parte l’alternativa “per costo”. In Germania, il sistema combina esenzione al 95 per cento con soglia al 10 per cento in diverse configurazioni, fissando una “fotografia” del requisito a inizio periodo e coordinando con l’imposta commerciale locale per attenuare in parte il rischio di doppia imposizione. Nel confronto, l’Italia si colloca all’estremo più selettivo: soglia al 10 per cento, piena imponibilità sottosoglia e assenza di correttivi forfettari. La scelta sembra rispondere più a logiche di gettito che di coerenza sistematica, con il risultato di accentuare la rigidità del regime e di allontanarlo dai modelli francese e spagnolo, improntati a maggiore gradualità e simmetria.

Senza snaturare la ratio, esistono correttivi tecnici in grado di attenuare gli effetti distorsivi. Un primo fronte riguarda la definizione di regole applicative chiare, anche per evitare effetti asimmetrici nelle catene di gruppo. Un secondo fronte – cruciale per la qualità della policy – è l’introduzione di una clausola di valutazione ex post che misuri, a distanza di tempo, gli effetti della nuova soglia sul gettito e sui comportamenti dei contribuenti (riassetti, arbitraggio, impatti su capitalizzazione e costo del capitale). Tale clausola potrebbe essere affiancata da un meccanismo di esclusione proporzionale che, graduando la quota esclusa in funzione della partecipazione o del periodo di detenzione, attenui la discontinuità del sistema e riduca i “cliff effect”.

La riforma ricompone il disegno formale del regime dei dividendi, ma al prezzo di una maggiore rigidità e di un ampliamento della distanza rispetto ai modelli europei improntati a gradualità e simmetria. L’assetto che emergerà dipenderà anche dagli interventi correttivi già annunciati – dalla possibile riduzione della soglia all’esclusione delle società quotate – e dalla capacità del sistema di assorbire, nel tempo, le tensioni generate dal nuovo equilibrio tra gettito, coerenza sistematica e competitività del capitale.

 

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