Articolo tratto dal blog di Banca Generali
Il quadro emerge da un confronto con le maggiori Sgr italiane e internazionali riunite in un evento esclusivo da Banca Generali. Se l’equity rimane la scelta migliore, la domanda è dove e come investire? In base al sondaggio e alla view della terza private bank italiana d’Europa le aree geografiche su cui puntare rimangono gli Usa (nonostante tutto), l’Europa e il Giappone.
Nella sala si è respirato un clima di moderato ottimismo. Questo perché il ciclo economico si trova a metà del sesto anno dell’arco post covid e non c’è spazio – secondo i più – per un’accelerazione dell’inflazione. Bisogna però essere consci del fatto che, tale ciclo, non può durare per sempre, motivo per cui è necessario farsi trovare preparati con portafogli ben diversificati. Una gestione attiva e una profonda diversificazione rimangono le armi migliori per combattere l’incertezza. Un’incertezza che sembra si stia affievolendo: la guerra commerciale pare aver trovato il suo approdo (al netto di qualche scossa di assestamento che proseguirà), la politica monetaria in Ue è neutrale, quella fiscale in Usa espansiva. Il mercato sa che le crisi avvengono quando arriva qualcosa di inatteso. La storia però ci ha dimostrato che è peggio lo shock inflazionistico della recessione. E le obbligazioni sono oggi amiche degli investitori e anche qualora aumentasse il rischio, i bond sarebbero in grado di attutire il colpo, proteggendo dalla volatilità.
Gli Stati Uniti sono stati il convitato di pietra dell’intero evento: questo perché non si può trascurare l’indebolimento del dollaro e la volontà dell’amministrazione Trump di travalicare l’indipendenza della Fed. Uno scenario col quale gli investitori su trovano a fare i conti, anche in vista delle due nomine importanti ai vertici dell’istituzione.
La buona notizia è che il mercato è poco in allerta sui rischi di coda di inflazione interna Usa che, secondo gli esperti, non rappresenta un nodo vero per le aziende a stelle e strisce in quanto è pricing power. In questo quadro, tuttavia, qualcuno pone l’attenzione sui bond e sul cambio, tanto che alcuni detengono pochissima duration americana. In generale sarà importante capire come verrà motivato il taglio dei tassi che ormai è dato per scontato. Viviamo in un mondo del debito ma è cambiata anche la mentalità legata al debito stesso che non è più demonizzato come in passato ma bisogna guardare a come è gestito.
Di fronte a un rischio di rottura istituzionale come si reagisce? I multiasset sono una risposta sensata purché siano adattivi e si possano comportare tenendo conto dei rischi. Le correlazioni però vanno esaminate: cumulare asset americani con il rischio di cambio di oggi è un problema.
Riassumendo i messaggi convergenti che arrivano dal palco sono tre: non scommettere contro gli Usa, non scommettere contro l’AI e non scommettere contro il consumatore americano. Questo anche perché se si mescola la politica con le decisioni di investimento si commette un grande errore. L’ultima recessione economica vera e propria – si ricorda – risale al 2008, ovvero a 18 anni fa, ma questo ciclo economico non può durare per sempre. Perciò bisogna evitare di ripetere gli errori del 2020, il rischio correzione ci potrebbe essere: e bisogna farsi trovare preparati con un portafoglio azionario adeguato.
Proprio a causa dell’inflazione uscire dall’azionario in questo momento sarebbe pericoloso. Oltre all’America c’è l’Ue che sta vivendo un periodo di trasformazione e opportunità. Venendo ai settori il focus è principalmente su AI, infrastrutture e salute. Per quanto riguarda le LARGE CAP altri mettono sotto la lente di ingrandimento il settore bancario, le utilities e il lusso.
Da ultimo c’è chi sottolinea che l’oro è l’asset reale che può proteggere dai rischi di inflazione: non è ancora in sovrappeso su portafogli globali e quindi c’è ancora spazio.
Gli esperti, infine, sottolineano di non prendere rischi sul mondo del credito, fatta eccezione per i credit bond: dove gli spread sono già al di sotto dei minimi registrati prima dell’allargamento dovuto ai dazi e ora scambiati vicino ai livelli storicamente più ristretti.